Fortunatamente si decide di esporre per tutto il mese di maggio a Palazzo Madama «Dal latte materno veniamo», monumento in bronzo, divenuto pomo della discordia, che la famiglia dell’artista Vera Omodeo avrebbe voluto donare alla città perché venisse esposta in una piazza, in particolare in quella dedicata ad un’altra donna, Eleonora Duse.
L’apposita commissione del Comune di Milano, preposta a valutare le opere d’arte da inserire negli spazi pubblici, voluta nel 2015 dal sindaco Pisapia, aveva bocciato la proposta all’unanimità perché, come si legge nel verbale, «la scultura rappresenta valori certamente rispettabili ma non universalmente condivisibili da tutte le cittadine e i cittadini, tali da scoraggiarne l’inserimento nello spazio pubblico».
E suggeriva alla famiglia di donare la statua a «un istituto privato, ad esempio un ospedale o un istituto religioso, all’interno del quale sia maggiormente valorizzato il tema della maternità, qui espresso con delle sfumature squisitamente religiose». La concessione che i valori siano rispettabili è una chicca incredibile. Ma procediamo con ordine prima di indignarci.
Cosa c’è di più bello di una donna che allatta il suo bambino? Cosa c’è di più tenero di un piccolo che si nutre al seno di chi gli ha dato la vita? Forse abbiamo così abbandonato queste immagini, infestati da strane maternità e paternità surrogate, per individuare ancora i tesori del più grande segreto della vita, quello per cui l’essere umano, con un processo naturale sempre esistito e mai smentito da nessuna teoria partorita dall’egoismo di chi non si rassegna alla propria impossibilità di viverlo negli stessi termini, nasce e si alimenta grazie a un atto d’amore, forse il tam tam di assurde teorie ci condiziona al punto che facciamo fatica persino a concepire la grazia e l’universalità della riproduzione della specie.
Potrebbe essere una dea, o una musa, una delle tante muse che ispirano il mondo dei grandi sentimenti, della grande poesia della vita. Inquietanti però. Per chi non riesce a vedere nella natura altro che pericolo, minaccia della nostra pur fragile integrità.
Forse, avvelenati dalle varie campagne montate contro i rapporti normali tra i due sessi, non riusciamo più ad individuare il senso e il valore di ciò che consegue a quello stesso legame imperante da che mondo è mondo, il fatto cioè che solo una madre autentica, una femmina che ha partorito la sua creatura può maturare e concedere il frutto preesistente a qualsiasi prodotto altrimenti previsto per alimentare un essere umano.
Forse tra i componenti la commissione che ha bocciato la collocazione di una così grande testimonianza di amore femminile accanto a preziose esperienze di altre due donne ci sono conflitti irrisolti con una serena visione della vita sociale che prescinda dalle forzature a cui ci ha abituato un sistema perverso di creazione dell’opinione corrente. Forse le ragioni del diniego si trincerano dietro affermazioni risibili relative alla sensibilità non universale nel senso che quel gesto così irrinunciabile e indiscutibile non è consentito a certe realtà che dobbiamo difendere ad ogni costo, al punto di farle passare come appartenenti alla norma.
Forse i componenti della commissione così protetti da un’informazione distratta se non proprio connivente dovrebbero nascondersi loro stessi dietro gli scranni ingiustamente conquistati nel consiglio comunale di Milano, per non essere affondati da una sonora e grassa risata.
Ma la cosa più tragica, che riservo opportunamente alla conclusione di questo intervento, è che una circostanza minacciosa incombe sulle motivazioni inconfessate e inconfessabili di quel famigerato manipolo di esperti. Come un temporale di assurda grandine ipergarantista delle minoranze si staglia sul cielo di Milano, del resto già abituato a nefandezze come la creazione di un museo della Resistenza sul terreno di uno dei più bei glicini d’Italia, il timore, udite udite, che gli oscurantisti protettori della nudità femminile debbano far evitare il percorso rovinato da un seno che allatta a uomini e donne osservanti difensori di tutti i veli che impediscono alla lussuria di farsi strada.
Fosse vero, dovremmo cominciare a pensare a velare le nudità sparse nel mondo dell’arte non solo italiana, addirittura ripensare in questa direzione anche le pubblicazioni che sostengono il nostro sviluppo turistico. Ma fermiamoci qui. E ricordando lo strano imbarazzo della commissione milanese, contempliamo sconfortati il messaggio di De Chirico nelle sue Muse inquietanti, immaginandovi inserita la nostra preziosa statua, a difesa della natura, della donna e della maternità.
Roberto Sacchetti