UNA RIFLESSIONE

LA LEGGE

Lettera ai posteri di Franz Kafka

All’improvviso ci si sveglia trasformati in un enorme scarafaggio, e per questo additati ed evitati come mostri indegni di vivere nel contesto sociale, addirittura nell’ambito familiare, sopportati e discriminati per la nostra diversità dalle forme e dai comportamenti consueti, generali.

Questa situazione che nella Metamorfosi attribuivo ad un essere che riprendeva la mia sensazione di essere rifiutato da mio padre, dalla famiglia e dalla comunità, mi sembra di riviverla in questo mio viaggio surreale nel vostro tempo, immedesimandomi nella condizione di un uomo che rivendica semplicemente le ragioni della pace e della trattativa, prima ancora e a prescindere dalle ragioni addotte da ciascun contendente.

Più di un secolo dopo la vita letteraria della mia creatura Gregor Samsa, devo costatare che la legge della società è rimasta la stessa, con la sua iniqua, assurda e inesorabile impostura.

In un Castello non diverso da quello del mio incompiuto racconto tutti obbediscono a un mantra che proviene dal suo interno, naturalmente, passivamente, o senza porsi domande sulla sua giustificazione o rinunciando a metterlo almeno in discussione perché ossessionati dalla supina determinata incondizionata accettazione della comunità in generale.

Il mio protagonista K. sfida la legge, vuole spiegarne o confonderne i motivi, convinto che in questa lotta è in gioco il destino umano, a costo di subire la punizione che non ho avuto l’occasione di descrivere nella mia storia incompiuta.

Analogamente i K. del vostro tempo, ridotti in minoranza dall’irragionevole e pericoloso conformismo, continuano a combattere per l’abbandono delle armi e per l’avvio della trattativa, basandolo anche non su un generico pacifismo ma su un’analisi prudente dei passi che hanno condotto al conflitto che sta infestando la nostra bella Europa non lontano dalla mia Praga.

Ma a questi K. sembra essere riservato lo stesso trattamento previsto per il protagonista dell’altro mio romanzo di successo, Il processo, sottoposto a un rito giudiziario sommario per un delitto mai commesso e sconosciuto.

Infatti cosa c’è di più incomprensibile del delitto di essere pacifisti, in questo contesto dominato da un complesso mediatico eterodiretto? Da chi? Svelerò la verità con un riferimento all’altro mio romanzo famoso, America, come lo chiamò Max Brod. Il titolo originario era Il disperso.

Disparità sociali, difficili condizioni di lavoro, ritmi disumani affioravano nella mia storia interrotta. Ma oggi, dopo cento anni, sono note insignificanti di fronte alle svariate iniziative belliche degli ultimi decenni e alla tara originaria della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki.

Se fossi vissuto più tardi avrei saputo inserire nei miei racconti l’ennesima crudele e assurda favola, quella della violenza inusitata e impunita esercitata sulle inermi città giapponesi. Quello che mi stordisce letteralmente è che il controllo della stampa riesca a collocare nel dimenticatoio questa come altre brutture di quella parte del mondo.

Franz Kafka

 

Di Franz Kafka ricordo l’immagine che offre di sé nei suoi “Diari”, quando paragona la sua esistenza a quella di un palo obliquo conficcato in un campo innevato. Era la condizione di un disperso, una delle tante coscienze dell’umana specie destinate all’isolamento e alla povertà degli affetti dalla loro stessa consapevole grandezza, come il nostro Leopardi.

Ricordo ancora la sua “Lettera al padre”, in cui rivela di avere scambiato pochissime parole con il padre in tutta la sua vita, accostabile alle famose proteste del poeta di Recanati contro genitori da lui ritenuti poco attenti al suo futuro.

Questa premessa nella mia risposta per sottolineare ancora una volta che vedono giusto sempre e di più gli emarginati, gli “apoti”, con parola greca, che non bevono cioè le assurde idee prevalenti in una società sorda alle vere analisi della realtà. Basti pensare ai rapporti di Giacomo con le illusioni di progresso e le velleitarie intenzioni belliciste del suo tempo, nella “Batracomiomachia”.

In questa luce, prestata dagli autori che hanno la giusta prospettiva degli eventi suggerita dalla loro estraneità e dal loro distacco rispetto alle opinioni correnti nella massa, possiamo scorgere le ragioni della pace.

Roberto Sacchetti