La croce di Cristo: un percorso di vita e un messaggio d’amore che interpellano da sempre e superano i secoli

Condividere lo stile del Crocifisso Risorto, volendo essere come Lui e con Lui, è il senso fondamentale della vita. E amando non si muore mai!

“È Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1 Gv 4,10)

Nel mondo post moderno che privilegia l’avere, il godere e investe sull’onnipotenza umana ha senso parlare della Croce? Quale significato assume “l’obbedienza amorosa di Cristo al Padre fino alla morte di Croce” (Fil 2,8). Come comprendere la missione espiatrice del “Servo sofferente che giustifica molti addossandosi la loro iniquità” (cf Is 53,11 e Rm 5,19). Ecco il cammino di Colui che con la sua spoliazione interroga e apre alla speranza chiamando a cantare l’Exultet della Pasqua. Ecco il percorso di chi ponendosi in sequela, si fa contraddizione per sé e il mondo. “Portare la propria croce vuol dire sfidare la contraddizione; sfidarla non per il gusto di fare guerra o del martirio facile, ma perché si ha una meta, c’è una direzione, bisogna camminare per questa strada” (Giovanni Moioli, La parola della croce). Oggi bisogna comprendere che non si è discepoli se non si va a Gerusalemme con il Signore, abbracciando i suoi obiettivi, la fedeltà a Dio e il suo stile d’amore. Ecco la Croce: “Albero di salvezza”, “pilastro dell’universo” che si fa arduo cammino. Un cammino che trasforma il dolore e lo qualifica, come senso e forza motivata e motivante, nell’Amore che si fa dono. E come non interrogarsi dinanzi a chi si fa dono, fino in fondo, per Amore? “Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore” – scrive S. Giovanni della Croce. La Croce è l’unico sacrificio di Cristo, che è il solo “mediatore tra Dio e gli uomini” (1 Tm 2,5). “Al di fuori della Croce non vi è altra scala per salire al Cielo” (S. Rosa da Lima, Vita mirabilis). Quale il significato della Croce o meglio di Colui che abbracciandola ne fa un “trono d’Amore”? Rimeditiamo alcuni versetti:

“Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. E l’iscrizione con il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei” (Mc 15,24-26). Gesù sul Calvario lascia che i chiodi gli trapassino il carpo e si conficchino sul patibolo (palo trasversale) che viene issato sullo stipite (palo verticale) già piantato al suolo. Con la collocazione sul capo del “titolo”, che reca il suo nome e la causa della condanna: “Gesù Nazareno re dei Giudei”, la crocifissione è terminata.

“Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte” (Gv 19,24). Per circa tre ore il corpo del Crocifisso si innalza e si accascia perché le mani sono sollevate in alto dal peso del corpo. Gesù respira con fatica e sembra soffocare mentre il corpo si agita per i crampi violenti. Quando il corpo si riabbassa l’asfissia lo riprende.

Gesù diceva: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23, 33-34). Più acuti dei dolori fisici son quelli morali. Beffe, insulti e inviti a mostrarsi Messia con i fatti, a salvare se stesso dopo aver salvato gli altri, a scendere dalla Croce. E Gesù non minaccia, perdona. Sapevano chi stavano uccidendo?

“Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. Gli rispose: Oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23, 41-43). Non resta delusa l’attesa del buon ladrone, che rimprovera le bestemmie al compagno e riconosce le proprie colpe e l’innocenza di Gesù. Non un ricordo, Gesù gli offre la promessa di essere con Lui.

“Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”  (Gv 19,25-27). Il Crocifisso, amando la Madre, l’affida al discepolo prediletto. Un gesto non solo di pietà filiale ma con significati individuati nei secoli. Gesù costituisce Maria Madre spirituale dei credenti, simbolo della Chiesa che genera alla fede. Raffigura quanti attendono la rivelazione e la salvezza di Gesù.

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27, 45). Il crocifisso recita le parole del Salmo 22, una lamentazione che descrive le sofferenze del giusto perseguitato e si chiude ringraziando Dio di essere venuto in suo soccorso.

“Ho sete” (Gv 19, 28-29). Nella sesta e ultima volta che Giovanni usa questo verbo lo si coglie sulle labbra di Gesù in Croce, consapevole di aver condotto a termine quanto il Padre gli ha affidato. È sete fisica, tormento caratteristico dei crocifissi. Ma è sete anche spirituale. Desiderio di comunicare i beni messianici che si sintetizzano nel dono dello Spirito.

E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: “Tutto è compiuto!”. E chinato il capo spirò (Gv 19,30). Come Dio alla fine dei sei giorni termina la creazione, così egli alla fine della sua vita termina la nuova creazione. I Vangeli sinottici presentano la morte come un rendere al Padre il proprio spirito. In Giovanni si focalizza il dono dello Spirito che Gesù comunica al popolo messianico presente sotto la Croce nelle persone di Maria sua Madre, del discepolo che egli amava e delle discepole galilee.

“Davvero costui era Figlio di Dio!” (Mt 27, 54). Con la morte di Gesù inizia un mondo nuovo, tutti hanno accesso a Dio e la morte è sconfitta. È quanto simboleggiano il terremoto e i suoi effetti, come la lacerazione di uno dei due veli preziosi del tempio, la fenditura delle rocce e il rotolamento delle pietre tombali. I Vangeli sinottici concludono ricordando la professione di fede del centurione nella dignità sovrumana del Crocifisso e l’amore coraggioso delle discepole galilee che hanno assistito il Maestro.

“E assicurarono il sepolcro” (Cfr. Mt 27, 62-66). Amore e nobiltà d’animo spingono il sinedrita Giuseppe di Arimatea a ottenere da Pilato, non convinto della colpevolezza di Gesù, l’autorizzazione a inumare il Crocifisso. Il sepolcro viene presidiato da un corpo di guardia chiesto dai sinedriti perché i discepoli non ne sottraggano la salma e predichino che il Maestro è risorto. Sarà proprio la presenza di quei soldati a dimostrare l’assurdo della storiella, diffusa dai Giudei, del trafugamento del corpo di Gesù.

Vide e credette (Gv 20,1-10). Maria Maddalena, vista rotolata la grossa pietra che ostruiva l’ingresso della tomba pensa che sia stato trafugato. Senza entrare, corre da Pietro e Giovanni. Benché preceduto dal discepolo prediletto, è Pietro che entra per primo. I teli ancora presenti e il sudario ripiegato in ordine a parte escludono l’ipotesi del trafugamento o del trasferimento della salma. Entrato dopo Pietro, il discepolo crede che Gesù sia glorificato in cielo.

“Maria! (…) Rabbunì!” (Gv 20, 14-18). Sette i tempi della cristofanìa di riconoscimento di cui beneficia Maria di Magdala, capogruppo delle discepole galilee. Gesù appare a lei per prima ma è scambiato per il custode del giardino. Il Maestro le affida il messaggio gioioso della sua Pasqua. E dopo la dolorosa potatura, ecco la feconda fioritura della Resurrezione. E passando dalla nuda Croce (strumento di morte) alla Croce gemmata (dopo Costantino) si celebra il segno della vittoria e della vita eterna. Anche in natura, le gemme del mandorlo, primo a fiorire in primavera, annunciano la forza della nuova vita! Auguri. Fai del tuo cuore una gemma d’Amore in cui risorga sempre la Luce!

don Peppino Cardegna