
Art. 32 della Costituzione
L’art. 32 della nostra Costituzione stabilisce che la salute è un diritto universale, garantito dallo Stato, che non può soggiacere a criteri economici, ma deve essere accessibile a tutti, indipendentemente dal reddito o dalla condizione sociale, in quanto interesse della collettività. Il dettato costituzionale si fonda su principi di universalità, equità e uguaglianza nell’accesso alle prestazioni.
Ciò nonostante, vi sono difficoltà di accesso alle cure e ai trattamenti necessari per il controllo e la soluzione di patologie, sia lievi che gravi. Le cause sono ravvisabili in condizioni oggettive che riguardano le incapacità e l’inefficienza del sistema sanitario nazionale, che, ancorché uno dei migliori al mondo, fatica ad organizzarsi per l’erogazione di prestazioni anche basilari (carenza di personale sanitario, disuguaglianze regionali e locali, cattiva allocazione delle risorse), non garantendo le prestazioni in tempi compatibili con i bisogni di salute, soprattutto per le persone più fragili, vulnerabili e svantaggiate, escluse dai diritti.
Le disuguaglianze, cresciute a dismisura dopo la pandemia, impediscono a molti di accedere alle prestazioni sanitarie. Inoltre, le lunghe liste di attesa per esami di laboratorio e visite specialistiche contribuiscono alla decisione di rinunciare ad esse (fenomeno ampiamente sottostimato, cresciuto e che riguarda l’intero Paese), in quanto molti non sono in grado di affrontare i costi, con conseguente abbassamento dell’aspettativa di vita in buona salute. Sono soprattutto donne e adulti (45-54 anni) coloro che rinunciano alle cure.
Peraltro, lo scontro tra i poteri dello Stato impedisce la leale collaborazione necessaria a costruire percorsi, programmi, e progetti efficienti ed efficaci per garantire il diritto costituzionale alla salute, egualitario su tutto il territorio nazionale, a danno di milioni di persone meno fortunate, per nascita e politica, che rinunciano alle prestazioni sanitarie.
La rinuncia alle cure determina un effetto devastante sul sistema sanitario, poiché aumenta la pressione sui centri di emergenza e ricovero, accrescendo la spesa sanitaria. Si genera un meccanismo perverso che va bloccato attraverso la prevenzione e la soddisfazione tempestiva della richiesta di cure. I più fortunati, tramite l’emigrazione sanitaria, soddisfano altrove il diritto alla salute, gravando su un sistema sanitario già in affanno.
Nel 2024, circa il 9,9% della popolazione italiana, pari a 5,8 milioni di persone, ha rinunciato alle prestazioni sanitarie, dato in aumento significativo rispetto al 2023 (4,8 milioni – report Gimbe, su dati Istat).
Valore o Profitto
La salute, di conseguenza, non è più percepita come bene da tutelare, ma come merce da vendere e comprare, secondo la logica del profitto applicata al corpo umano, perdendo il valore del prendersi cura dell’altro.
Quando i tempi del pubblico diventano inaccettabili, si fa largo la concreta possibilità di delegare l’intera competenza sanitaria al libero mercato, alle strutture sanitarie private, che, basando l’erogazione delle prestazioni sul profitto, escludono chi non è in grado di sostenere i costi, contravvenendo così ai principi costituzionali di universalità, equità ed uguaglianza nell’accesso alle prestazioni.
Nel 2024, il 23,9% della popolazione si è affidata ai privati, con oneri rilevanti per il carico familiare, senza poter accedere ai rimborsi per le spese sostenute. Il diritto alla salute è inalienabile, irrinunciabile, universale, riconosciuto, irriducibile, essenziale. In quanto tale, va garantito dallo Stato e non può essere limitato a causa di carenze di risorse economiche o dell’impossibilità di superare il tetto di spesa previsto.
La vulnerabilità sanitaria, in cui vivono milioni di persone che non ricevono tempestiva risposta dal servizio sanitario nazionale, è sempre accompagnata da altre criticità (casa, lavoro, reddito, istruzione, mancanza di relazioni, ambiti interconnessi). Si tratta di una multidimensionalità dei bisogni. Molte persone non in grado di accedere ai servizi sanitari si rivolgono ai centri di ascolto della Caritas, con una percentuale in aumento rispetto agli anni scorsi. Le difficoltà che rappresentano sono molteplici. Chi entra in una spirale di povertà è difficile che ne esca. La politica non considera la povertà come un problema strutturale da governare, ma come una condizione individuale. La povertà in generale non è un destino, ma una chiarissima responsabilità politica. È necessario impedire che la salute diventi un privilegio per i soli abbienti, risolvendo le criticità del sistema.
Prospettive e Visioni
Da tempo, la sanità molisana è al centro di aspre polemiche dovute all’incapacità di gestione dei bisogni e delle aspettative dei cittadini. La lontananza dei decisori politici dai centri di interesse locali non facilita una programmazione puntuale che vada oltre gli asettici tagli chirurgici dei servizi.
È vero che la Regione, per dimensione e per popolazione, peraltro in decrescita, è tra le più piccole d’Italia, ma è anche vero che queste condizioni non dovrebbero determinare una disparità di trattamento rispetto al resto del Paese nell’accesso ai servizi.
Sarebbe necessario avere una visione politica della Regione che promuova il “brand” del piccolo è bello, delle relazioni e dei contatti personali che si attivano facilmente, in quanto strutturabili su misura, sulle reali necessità della popolazione. Bisognerebbe tenere conto, inoltre, che in relazione all’estensione geografica, si può andare dal mare al monte in brevissimo tempo (strade, lavori e dissesti permettendo).
Il sistema sanitario nazionale è una colonna portante della nostra democrazia che determina coesione sociale e promuove lo sviluppo economico del Paese. In quanto tale, va tutelato, affinché rimanga patrimonio di tutti e non privilegio per pochi eletti, privilegiando “una sanità che sappia accogliere i migranti, i poveri, i malati cronici, senza trasformarsi in un sistema escludente”, come Papa Francesco auspicava.
Silvana Maglione



