Deposizione di Cristo nel sepolcro di Giovanni Andrea Ansaldo
Ci sono due scene riportate dall’evangelista Luca che devono farci riflettere molto. La prima è quella dove Gesù fu condotto da Pilato dai capi del sinedrio e gli stessi lo accusavano senza pietà e senza verità alcuna! L’insistenza delle loro accuse palesava la loro sete di morte. Dalle accuse si passò agli insulti di Erode, alle umiliazioni più diaboliche e spietate. Gesù subito dopo fu rimandato indietro da Pilato. E furono comandati flagelli e sferzi sul suo corpo. Mentre in quelle stanze di potere rimbombava il grido autoritario di Pilato, che continuava a ribadire all’Assemblea che Gesù non aveva fatto nulla che meritasse la morte, saliva un grido ancora più forte e talmente assordante da piegare lo stesso Pilato: «Togli di mezzo costui!». Urlavano: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Siamo davanti all’insistenza incontrollata, feroce, inumana del Male, che non si accontenta di ferire, di calunniare, di torturare. La brama del Male è di imporre la morte! E non dà tregua finché non devasta. Questa prima scena ci pone davanti due estremi, due abissi. La mitezza di Gesù e la spietatezza degli accusatori. Alla domanda che l’alto funzionario romano rivolse per ben tre volte: «Ma che male ha fatto costui?», seguiva poi la consegna di Gesù al loro malvagio volere.
La seconda scena di Luca è quella pervade di pace il cuore. Racconta, infatti, che tutti i conoscenti di Gesù e le donne, che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano a guardare da lontano la sua morte in Croce. In mezzo a tanto orrore, a tanto dolore, sorge un barlume di bontà infinita. Si tratta di Giuseppe d’Arimatea. Era membro autorevole del sinedrio, definito dall’evangelista con due aggettivi chiari: “buono e giusto”. Sono caratteristiche meravigliose che tutti vorremmo sentirci attribuire nella vita. Giuseppe d’Arimatea non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri del sinedrio. Per questo, egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Il flusso inarrestabile d’amore dirompe tramite questo cuore che si è aperto ad un atto di carità stupefacente, incommensurabile! Chiede il corpo di Gesù! Non è suo figlio. Non è un suo parente, né un amico! Eppure, quest’uomo compie un gesto di amore gratuito. È il coraggio di chi non si sa spiegare tante cose, ma le sente ardere dentro nel petto. È la compassione di chi ha capito e si lascia avvolgere! Lacrime sante devono scorrere dai nostri occhi, quando consideriamo in preghiera quello che ha fatto per il Signore quest’uomo. Ancora un “Giuseppe” Dio pone sulla strada di Suo Figlio, l’Amato Gesù! Prima San Giuseppe, sposo della Madonna, che lo depose nella mangiatoia. Lui lo educò, lo custodì e nutrì come un vero papà, amorevole e premuroso. E ora san Giuseppe d’Arimatea. Anche lui depose Gesù, ma dalla Croce, senza delegare nessun’altro. Se lo strinse, gli coprì il corpo martoriato con un lenzuolo, lo ospitò nel suo sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato mai sepolto. Giuseppe d’Arimatea agisce come un vero discepolo ma anche come un vero papà. Egli non aveva ricevuto miracoli da Gesù, per cui sentirsi in debito con Lui. Si prese cura di Gesù con amorevolezza, dandogli degna sepoltura. È questo il suo credo! Aveva atteso veramente il Messia, riconoscendolo in Gesù di Nazaret. Amare con questo cuore significa aderire al Regno portato da Gesù.
Ylenia Fiorenza