LA RIFLESSIONE

IL SACRIFICIO DEGLI INNOCENTI

Sono nato sulla riva dell’Euripe, che ha dato origine al mio nome. Era il canale dove si svolse la battaglia di Salamina, forse, come dice la tradizione, nello stesso giorno, da genitori ateniesi rifugiati nell’isola per sfuggire ai Persiani. Dunque già il mio esordio nel mondo è stato segnato dalla guerra.

I miei contemporanei e gli studiosi dei vari tempi si sono soffermati sulla novità del mio teatro tragico, individuandola nell’attenzione all’uomo e ai caratteri, nonché nella considerazione di protagonisti prima esclusi, ignorati o sottovalutati, come servi o schiavi o donne in genere. Ma c’è dell’altro forse dimenticato.

Tucidide ricorda nella sua Storia della guerra del Peloponneso il massacro dell’isola di Melo. Secondo il suo racconto, ci fu un lungo assedio nei confronti di quelli che erano semplici coloni spartani che avrebbero preferito rimanere neutrali per conservare la loro attività in pace, perché Atene non sopportava che ci fossero terre non nemiche di Sparta.

Ebbene gli strateghi ateniesi, prima di sferrare l’ultima decisiva offensiva, proposero una resa per evitare il peggio. Ma, afferma e sottolinea il grande storico, incontrarono non i rappresentanti del popolo ma gli alti magistrati, che rifiutarono l’accordo senza preoccuparsi più di tanto delle conseguenze reali possibili.

Tucidide lascia intendere che i coloni forse avrebbero accettato di arrendersi. Il risultato fu che dopo la conclusione dell’assedio i vincitori uccisero tutti i maschi adulti e ridussero in schiavitù donne e bambini. Il sacrificio degli innocenti.

Questa immensa tragedia ho voluto far rivivere nelle Troiane, soffermandomi sulle violenze operate dagli achei sulle donne di Ilio dopo la vittoria.

Già questo dovrebbe ammonire voi abituati a considerare la letteratura antica semplicemente popolata di eroi e di guerrieri sul fatto che soprattutto in Grecia è esistita e si è radicata una grande pietà e considerazione delle vittime dei conflitti.

Quella che mi sembra voi dimentichiate, tutti presi dalla necessità di contrapporre una forza militare a un’altra, senza riflettere sulle devastazioni che l’esasperazione dele parti crea tra i diretti interessati sul territorio.

E l’esempio citato da Tucidide dovrebbe essere decisivo per individuare come al di là delle ricostruzioni schematiche siano spesso i governi contrapposti a studiare e realizzare campi militari, magari perché sono essi stessi al riparo dai peggiori danni.

Addirittura giustificati nel loro schieramento anche dalle pressioni esterne esercitate con fini che trascendono la realtà locale.

Nel caso ricordato a proposito dell’isola di Melo, i delegati di una grande potenza impongono di scegliere fra la sottomissione e l’annientamento rivolgendosi a oligarchi che prendono decisioni per conto di un popolo assente.

Ma questo, a scanso di equivoci, vale sia per gli eventi di quest’ultimo anno che per gli otto anni precedenti in Ucraina.

Euripide

Sono tanti gli autori greci che hanno avuto il coraggio di condannare l’orrore delle armi, nonostante la cultura dominante fosse rivolta all’esaltazione degli eroi e del valore militare.

La maggior parte è vissuta negli anni della guerra del Peloponneso, una sciagura che ha condannato Atene e Sparta a dissanguarsi per 27 anni, dal 431 al 404 a.C.

Euripide è uno di questi, anche se il suo interesse prevalente per la denuncia e l’analisi del comportamento umano in tempi di pace ha limitato in fondo  i suoi interventi in questo campo.

Quello delle “Troiane” è un mondo in cui vincitori e vinti soffrono, i primi per aver insanguinato gli altari, i secondi per la schiavitù cui sono sottoposti. Il nostro autore condanna ambedue le fazioni, soprattutto per le motivazioni inconsistenti del conflitto.

E nel suo teatro si afferma un’angoscia tutta moderna, con domande sul valore della vita. Un uomo alla ricerca di un fine, di una spiegazione, di una legge.

Incredibile la parentela fra i protagonisti dell’autore di Salamina e i piccoli uomini di Franz Kafka, prigionieri dell’assurdo.

Comunque lo stesso nostro tragediografo ci fa intuire che l’unica salvezza in questa devastazione è la parola.

E alla parola abbiamo affidato la possibilità di strappare i due contendenti insani (o tre o quattro, chissà?) a un destino tragico, reso ancora più inconcepibile dalle presunte ragioni che lo producono, lo incoraggiano, lo determinano fino ad esiti catastrofici.

Roberto Sacchetti