LA SOLENNITÀ DI SAN GIUSEPPE

SAN GIUSEPPE, VERO PADRE E FIGLIO ATTENTO, SEMPRE IN CRESCITA

Il mese di marzo da sempre è segnato da un passaggio particolare nella vita sociale e nella vita della comunità cristiana: la solennità di San Giuseppe e, in coincidenza con essa, la festa dei papà. Esse rappresentano e ci affidano uno spazio “festivo” all’interno dell’austero cammino della Quaresima ma anche una preziosa opportunità per la “riappropriazione” del valore e della significatività della paternità o comunque del ruolo educativo della figura paterna all’interno del percorso di vita e del percorso della fede stessa.

In un passato recente, il “padre” o i “padri” “brillavano” soprattutto per la loro “assenza” a tal punto da segnare e significare l’assetto sociale come “una società senza padri”.

Basta scorrere gli articoli e le riviste in ambito sociale di quel periodo per avere una panoramica e una controprova.

Nelle riflessioni correnti di quegli anni, sia da parte di esperti che del discorrere comune, emergeva la preoccupazione forte del vuoto lasciato dall’assenza paterna, con tutte le ricadute che essa veniva a comportare sul piano educativo, familiare e comunitario.

Che dire poi sul piano di fede?! Anche qui si evidenziava come la figura e il ruolo materni di fatto fossero quelli che si facessero carico dell’”educazione religiosa” e spirituale delle nuove generazioni.

La fede e la pratica religiosa sembravano unicamente ad appannaggio del “femminile”.

Mi sembra, pur non essendo un esperto del settore, come da alcuni decenni si assista ad un significativo e interessante “cambiamento” di rotta e ad un “riscatto” (parola troppo forte e inadeguata?!) della figura paterna: ad un vero “balzo in avanti” dell’incidenza e dell’influsso paterni all’interno del convivere sociale e comunitario. Non solo a livello quantitativo (= i padri dedicano e condividono più tempo con i loro figli) ma qualitativo (= il tipo di relazionalità e di dialogicità che i padri vivono ed attuano con i loro figli). Si tratta di un vero “salto di qualità” che risulta benefico: facitore e portatore di “bene” e di “beni” per gli attori in gioco (padri-figli), per le trame e il tessuto relazionale all’interno della coppia e della famiglia, e per gli inevitabili risvolti positivi nell’impatto sociale.

Sebbene gli influssi delle separazioni e delle “rotture” familiari si facciano sentire con tutto il loro peso, i rapporti genitoriali ed educativi sono di fatto caratterizzati e contraddistinti da una maggiore stabilità e completezza.

Che cosa ha “prodotto” e che cosa ci consegna in concreto questo “sobbalzo” paterno?!

I “padri” sono più presenti nella vita e nel percorso di crescita dei propri figli.

I “padri” si occupano e si preoccupano di aspetti e competenze precedentemente attesi ed espletati fondamentalmente dalle “madri”.

I “padri” trascorrono più tempo con i figli, incrementando lo spazio e la dinamica della condivisione.

I “padri” hanno maggiormente a cuore il bene spirituale e della loro fede, almeno e per lo più nell’arco dell’itinerario catechetico che li vedono coinvolti

I “padri” non “temono” più una loro personale “esposizione” e una “visibilità” nella vita comunitaria e nella testimonianza di fede.

Una preziosità e una ricchezza questa di indiscutibile spessore a cui gli stessi padri, gli stessi figli e le stesse madri  possono attingere nella trama del quotidiano, sia nel suo svolgersi sereno sia nei momenti di difficoltà.

Una preziosità e una ricchezza che intercettano quanto viene annesso e attribuito alla figura e al ruolo dei padri da alcune riflessioni contemporanee delle scienze sociali: il collegamento della biografia individuale (dei figli) al piano trascendente, a quello “normativo” (del dovere, nel suo senso più bello e nobile del termine), per arrivare al piano del senso e all’operazione di integrazione del dolore e della perdita.

In parole semplici, i “padri” assurgono e diventano sicuri punti di riferimento che proteggono dallo smarrimento di senso (= della direzione da dare alla propria esistenza), dallo smarrimento del senso religioso e da certe reazioni e derive infantili e scoraggianti che potrebbero conseguire.

E in tutta questa trama e questo ordito della vita e della vita di fede, quale contributo e valore aggiunto possono esserci donati dalla figura e della presenza di san Giuseppe che celebriamo il 19 marzo di ogni anno in concomitanza con la festa del papà?

Mi permetto di attingere a due semplici aspetti così come “emergono” dalla narrazione evangelica, sulla presenza e sul ruolo paterni espletati da San Giuseppe.

Certamente queste mie due considerazioni sono alquanto “limitate e limitanti” rispetto alla portata e alla ricchezza che ci sono state consegnate qualche anno fa dalla lettera apostolica “Patris Corde” di papa Francesco, in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale patrono della Chiesa Universale (2020) e dalla abbondante produzione letteraria di indubitabile valore: ad esse rimando il lettore per un maggiore e migliore approfondimento.

Quali sono?

Sono il suo “silenzio” e il suo essere “giusto”.

San Giuseppe brilla per il suo “silenzio”. I vangeli non ci hanno trasmesso alcuna sua parola. Questo non significa che non ne abbia dette. Il suo silenzio  -così lo leggo-  è la particolare  “modalità” con cui si è posto e ha affrontato la sua quotidianità, soprattutto certe rilevanze non così semplici e scevre di problematicità.

E’ il “modus” con cui è stato vicino a sua moglie Maria, a suo figlio Gesù e alla trama giornaliera.

Ha offerto a se stesso e a loro questo “spazio di decantazione”, questo “luogo di riflessione”, questa “serena azione” e non di reazione … che ha permesso a lui e a loro di “assaporare” il gusto della vita e della fede. Lo colgo come un ottimo esercizio di spiritualità concreta ed esistenziale, di trascendenza effettiva ed affettiva che i “padri” odierni possono testimoniare e trasmettere ai propri figli. Certamente essa va attivata, esercitata e mantenuta in modalità “on” prima di tutto da parte dei “padri” nel rapporto con se stessi per poi favorirla e promuoverla nella relazione educativa e nella crescita dei figli.

Il secondo aspetto è il fatto che di san Giuseppe venga messa in luce come fosse “giusto”.

L’ essere “giusto” per un buon ebreo consisteva nell’impegnarsi a compiere la volontà di Dio, ben rintracciabile ed espressa nella Torah (nella Legge), i primi cinque libri della Bibbia.

In concreto, Giuseppe è “giusto” per la sua obbedienza e fedeltà nei confronti di Dio.

Questa sua obbedienza e fedeltà sono costituite e formate da capacità di ascolto, senso di trasparenza e di responsabilità.

Come non vedere qui l’opportunità di “luoghi” e “spazi” di incremento di un esercizio quotidiano qualitativo che diviene di fatto opportunità di crescita e di ricchezza per i padri stessi e di conseguenza “tesoro” agito e consegnato per i propri figli?! Anche nel suo versante e nella sua declinazione rispetto al rapporto con Dio, con la sua Parola e con la comunità cristiana?!

Un “salto di qualità” … un “balzo in avanti” … da parte dei “padri” … per i figli: da parte di tutti noi per chi viene dopo di noi. Un salto di qualità dove il silenzio e la giustizia possono essere vissuti con maggiore intensità e concretezza tanto come contenuti quanto come modalità di una “paternità” qualitativa e arricchente!

Che San Giuseppe possa esserci di esempio e possa aiutarci ad essere allo stesso tempo veri padri e figli attenti e sempre in crescita!

padre Gianpaolo Boffelli