UNO, NESSUNO E CENTOMILA

Roberto Sacchetti

Me ne sono andata nel pomeriggio del 9 marzo. Mi ero ricoverata più di un mese prima per un drenaggio addominale che mi avrebbe svuotata da liquidi che mi opprimevano da diverse settimane. Cosa che era avvenuta, facendomi perdere 4 litri, con grande sollievo per la mia condizione. Anche se dovevo affrontare ancora un piccolo intervento in laparoscopia, per capire la natura e l’entità del vecchio male che interessava probabilmente il peritoneo. Almeno tre volte al giorno mi telefonavi  per sapere come mi sentivo. E spesso i figli. Qualche giorno più avanti nella mia camera una signora anziana si lamentava molto. Seppi che era affetta da male terminale e che era trattata con morfina. Il mio pensiero correva naturalmente all’idea che sarebbe potuto accadere anche a me, in questa lotta con il cancro che durava ormai da circa trent’anni. Una battaglia che, con alti e bassi, ero riuscita a vincere in diversi modi e con opportune cure. Ultima quella che mi consentiva di contrastare una forte anemia di origine vagamente midollare. Cura avviata con successo dal dottore Giordano dopo un’attenta analisi delle cellule spinali. Mi seguiva dalla lontana Parma il chirurgo oncologo Paolucci, di cui mi fidavo ciecamente da trent’anni.

Circa una settimana dopo, seppi che la paziente terminale era deceduta e si era scoperto che era affetta da covid-19. Bisognava sottoporre a test tutti noi, degenti e personale sanitario. Due test negativi, che mi rianimavano…poi un tampone positivo…Venivamo, noi positivi, separati dagli altri. Cambiava lo scenario intorno a noi. Non facevo in tempo a felicitarmi con me stessa perché non avevo sintomi apprezzabili, che scoprivo che almeno per ora non potevano più drenarmi, in quanto l’ecografo che, per prudenza doveva accompagnare l’operazione, non poteva essere spostato nella zona covid, perché poi non si sarebbe potuto sanificarlo mancando l’apparecchio apposito. E non riuscivo a rincuorarmi per la risalita positiva di certi valori ematici associata a un’ossigenazione sempre buona fin dall’inizio nonostante il virus, che si ribadiva implacabile intorno a me l’impossibilità del drenaggio.

Intanto proseguiva il mio dialogo telefonico con te, i figli, i cognati. Con notizie rassicuranti sulla mia risposta al covid. Ma cominciavo a riempirmi di nuovo di liquidi e questo mi determinava una certa pressione sulle vie respiratorie. E, nel giro di qualche giorno, venivano riunificati i reparti covid e terapie intensive, a quanto pareva per mancanza di personale adeguato all’incremento dei casi. E cambiava così ancora una volta, in peggio, lo scenario intorno a me.

Nel frattempo, come era prevedibile, la pressione del liquidi sui miei polmoni era diventata tale che, oltre ad aiutare la diuresi e altro con diversi sistemi, decidevano di applicarmi la maschera d’ossigeno. E, nel giro di pochi lunghi esasperanti giorni, perdevo progressivamente la possibilità di un saltuario contatto telefonico con i miei cari, poi di tutti i contatti. Avevo anche momenti di sopore per me inesplicabili, ma sicuramente spiegati dai medici, mentre immaginavo anche la tensione dei miei parenti. E la luce andava e veniva nella mia mente…Un giorno ho visto per pochi secondi una dottoressa che indicava l’immagine della Ferrari sul mio cellulare e mi domandava che era; poi, alla mia risposta esatta, chiedeva chi era inquadrato…Isabella, mia figlia…altra risposta esatta…poi nulla più. Di nuovo luce e ombra…mascherina…respiro affannoso.

Per giorni non vedo più i miei cari. Voci, traffico, lamenti, movimenti intorno a me, ma non vedo nessuno dei miei. Respiro e penso. Un tormento indicibile. Respiro la morte. Che arriva finalmente, credo dopo tanti altri giorni che non ho saputo contare.

Soltanto ora posso scorgere cosa succede laggiù. Chiuso il mio povero corpo in una stanzetta covid separata dal resto dell’obitorio. Pronta per un rito di chiusura in una bara covid. Infine cremata in una procedura covid.

E vi vedo miei cari. Per voi sono una mamma e moglie portata via da un destino assurdo di solitudine. Leggo nelle vostre menti lo strazio. Avete capito la mia morte. Fino in fondo. Penetrata nella sua crudeltà.

Vi vedo anche quando incontrate le persone che mi ricordano per le lunghe chiacchierate sotto casa. Sento che apprezzavano tante cose che ho loro comunicato della mia esperienza. E ascolto chi con voi ripensa alla mia vita di insegnante stimata e attiva animatrice di teatro. E rileggo in te le conversazioni che abbiamo avuto su cinema, tv, spettacoli, rivedo la tua ammirazione per la mia competenza su tutto. Riscopro anche nella tua mente quello che pensi e che hai detto ai figli: che solo ora hai capito, da quanto mi intrattenevo a parlare con i miei vicini, come avrei voluto parlare più a lungo di tante cose quando venivi a trovarmi per vari motivi, spesso purtroppo per aiutarmi nella battaglia… Però qualcosa avevi intuito, perché portavi il discorso sulla Ferrari…la mia amata Ferrari…Grazie.

E sono una morta – covid per la società, quando quel virus non mi ha fatto nemmeno un baffo.

Uno, nessuno e centomila, diceva Pirandello. Il guaio grande lo ha fatto invece il mio male antico, che stavo combattendo, alleato con la paura assunta come criterio da una società che ha fallito perché ha pensato di fermare l’aria che respiriamo, avvelenando tutto, anche la morte. Ricordo quante volte mi hai detto di non aver paura del covid, ma della paura del covid.

E voglio vivere in chi resta vivo, per denunciare l’assurda fine della mia come dell’esistenza di tanti altri.

Roberto, fammi giustizia!

                                                                     Maria Carla