UNA RIFLESSIONE SUL VALORE DELL’ESISTENZA

DA ADAMO AD ADAM: LA VITA, L’INIZIO, LA FINE, IL FINE

Il significato dell’esistenza, tra l’ineluttabilità della morte e la ricerca di un fine ultimo, tra dolore e speranza

Per due fatti dolorosi concomitanti, da qualche mese accaduti – le morti tragiche di nove fratelli e del papà del ragazzino Adam, di 11 anni, di Gaza, e a Chiusi il suicidio medicalmente assistito dello scrittore Daniele Pieroni, di 64 anni, di Pescara – sento di dover riflettere molto. Essendo avanzato in età (sono ultraottantenne), ma già da tempo, mi pongo il tema/problema dell’avanzare verso la morte, come termine dell’esistenza. Preliminare una questione: perché nascere, se (prima o poi) sopraggiunge la morte? Prescindendo dalle morti cosiddette premature (rispetto a quale parametro?) o provocate (da malattia, incidente, uccisione, catastrofe naturale o colpevole, ecc.), si pone la domanda primaria del significato e del valore della nascita, del vivere e del morire di ogni uomo e donna.

Per questo quesito basilare, intanto ci sono, è noto (almeno nella dimensione occidentale), due posizioni: la materialistica/evoluzionista, che fa derivare il tutto dall’iniziale Big Bang all’oggi; la creazionista/spiritualista, che – a partire dalla visione biblica – rapporta a Dio (dopo il suo “Fiat” alla creazione e un ammissibile Big Bang iniziale) il cosmo, l’esistenza e il finalismo esistenziale umano. Nell’ottica della prima, eventi della natura (umana/animale, vegetale/ minerale, ecc.), progressi della cultura e azioni (in positivo e in negativo) sono “fatti” della storia umana, noti e/o ignoti, o relativi solo a sé stessi, che si chiudono, per il singolo individuo, con la morte. Nella visione della seconda, l’universo, le generazioni umane (da Adamo ed Eva, biblici primi genitori), le realizzazioni delle idee, sono dentro un disegno /progetto di creazione determinato dall’Amore di Dio, che dà insieme libertà all’essere più elevato (uomo e donna), nella prospettiva di un exitus di passaggio ad un’altra vita, eterna, di gioia o di sofferenza. Ad evidenza si delineano così due modi di vedere relativamente all’agire umano: se per conseguire risultati identificati come “positivi” o “negativi” nell’ambito della propria vita, breve o lunga che sia; oppure per cercare di compiere azioni (solo) “positive”, corrispondendo con l’ispirazione dello Spirito Santo alle verità e al bene, per acquisire la vita eterna.

Nel quadro delle esistenze così sommariamente (ovvero semplicisticamente) delineato, come intendere la vicenda tristissima del bambino Adam di Gaza, privato di colpo di nove fratelli e del papà? Sono rimasti a vivere lui e la madre. Quali pensieri li accompagneranno d’ora in poi? Sono tanti i morti di tutte le guerre e conflitti (biblicamente, da Abele e Caino; ultimamente, dalle guerre – non ignorate – tra Russia e Ucraina, tra i Governi di Israele e della Palestina – soprattutto, tragicamente, a Gaza, per le atrocità di Hamas e della ritorsione israeliana – e dell’Iran e della Siria, ecc.). «Nessuna vittoria di guerra può compensare le lacrime delle mamme e la paura dei bambini» ha detto il Papa Leone XIV. «Lo Spirito Santo, che è Signore e dà la vita» (secondo un criterio umanamente imperscrutabile), la toglie anche? Io non lo penso (biblicamente, non l’ha tolta a Caino / storicamente, nonostante il cosciente blasfemo “Gott mit uns”, non l’ha tolta ad Hitler). Noi viventi non abbiamo la ratio per intendere sempre le vite e le morti di tanti che passano attraverso la nostra considerazione (che necessariamente è limitata). – A Francavilla Fontana muore il carabiniere Carlo Legrottaglie a qualche giorno dal giungere alla pensione, ucciso dal malvivente Michele Mastropietro, che muore a sua volta quattro ore dopo, ucciso dalle Forze dell’ordine. Morti dell’uno e dell’altro derivate dai colpi criminali dell’uno e da quelli legali degli altri. – Ad Ahmedabad, in India, precipita un Boeing diretto a Londra e muoiono 241 persone, a cui si aggiungono le morti di altre 24 travolte a terra. C’è un solo sopravvissuto, il britannico Vish Ramesh, ma c’è anche da pensare che la studentessa Bhoomi Chauhan, che doveva andare a Bristol, è sfuggita alla morte perché, portata in ritardo all’aeroporto, non è stata ammessa a bordo. Determinate da che (?) le morti di questi tanti, e perché i due rimasti in vita? Io non so dire altro sulla “fine” di queste vite (come di tutte le altre): dovute ad azioni o crimini umani, a fattori prevedibili o imponderabili, a casualità (fatalità) determinatesi in luoghi e tempi solo a posteriori inquadrate ed interpretate.

Altro discorso occorre fare per la “fine della vita” voluta ed autodeterminata. In seguito alla legge regionale della Toscana, varata a febbraio 2025, impugnata peraltro dal Governo nazionale, c’è stato a Chiusi il primo suicidio medicalmente assistito del pescarese Daniele Pieroni, che per i mali non più sopportati ha deciso la “fine della vita” per sé. Prescindendo dal conflitto legislativo tra Regione e Governo, l’individuo /persona può o no decidere per la propria morte? In merito, le risposte si dividono: per il non credente la scelta autonoma è assoluta; per il credente la vita è donata da Dio e non si può autodeliberare la propria morte. Ma di fronte alle sofferenze che potrebbero giungere a livelli non dominabili, io, tu, un altro, verso quale comportamento andremo? In Italia lo Stato (la Consulta), varie Associazioni (particolarmente la “Coscioni”), iniziative varie di ordine popolare, anche la CEI (dopo che il Presidente Matteo Zuppi ha ripetuto che «la vita va vissuta dall’inizio alla fine») dicono necessaria la “Legge del fine vita”, finora non realizzata (da ciò, per esemplificare, la protesta di Laura Santi, giornalista e attivista, da tempo paralizzata in toto e sofferente – persona sbattezzata per la quale la vita è finita, come voleva, dicendo di ricordarla come «una donna che ha amato la vita» – che dichiarava di essere «arrabbiata con i politici, perché non hanno nessuna intenzione di decidere sul fine vita»).

In merito, io opterei per una disposizione legislativa aperta, che non deresponsabilizzi di fronte alla decisione suprema di terminare l’esistenza (e i credenti – io credente – non darei disposizioni al riguardo), ma inquadri la legalità (con le modalità di azione che saranno concordate), per chi è necessitato, di chiedere di finire in anticipo la vita. Come vagliare, peraltro, le condizioni di necessità? A qualsiasi organismo di Bioetica, il sofferente determinato a interrompere dolori e vita opporrà pathos a bìos, le sue sofferenze non (più) sopportabili al decorso di una ormai considerata non-vita. E si avvieranno così anche le motivazioni e le responsabilità di quanti vorranno, o no, accompagnare chi ricorre al suicidio assistito (saranno coinvolte, in genere, persone care o fidate).

Al fondo della questione (così in breve delineata), si pone infine l’inevitabile considerazione escatologica del fine dell’esistenza, da valutare dalla vita che finisce già nel grembo materno o sul nascere, a quelle troncate da violenza o da malattia, o protratte per longevità fino al termine naturale. Per gli atei o agnostici storicisti, le vite saranno valutate in base a fatti e fattori temporali/storici, dal livello zero a grandissime o condannabili realizzazioni personali o sociali. Per i credenti, la propria di ognuno è vicenda esistenziale di bene o di demerito (dopo l’impiego dei talenti – doni della Grazia –, delle opportunità per tutti costituite nella vita dalla condizione comune di Fratelli tutti, secondo il magistero del Papa Francesco), che sarà premiata o condannata dal divino giudizio supremo. Plauso o biasimo da parte degli uomini, nel tempo; approvazione o negazione da parte di Dio, nell’eternità (dice Gesù, in Gv 6,48: «Io sono il pane della vita»; in Gv 6,54: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna»).  Da ultimo, richiamo a pensare se le morti che abbiamo considerato siano da inserire solo in un quadro di accadimenti naturali, dolorosi od evitabili, o possano dirci (assai) di più circa il valore che hanno rappresentato e rappresenteranno nella storia umana e nelle vicende di quanti li hanno visti vivere e morire, con odio o tanto amore.

Giuseppe Cacchione