
Abbiamo tutti nel mondo un debito di fraternità. Sarà possibile vivere diversamente su questa terra solo se saldiamo questo debito che abbiamo gli uni gli altri, se finalmente poniamo alla base della vita questo debito, che si può estinguere solo con l’amore. Tutto ritroverebbe valore e purezza. Perché l’altro è in fondo un altro me! A fronte di tutte le crisi e i disordini che ci circondano, è importante aprire una via di ritorno alla fraternità, senza più interruzioni, senza alcuna ambiguità, senza più fine. È nel nome della fraternità che avremo futuro!
Quando le dighe sono aperte, l’acqua fluisce con vigore e porta con sé tutto ciò che incontra, irrigando in abbondanza la terra che bacia. Così un cuore che si apre agli altri, riversa nell’aridità del mondo la forza zampillante della fraternità. Ricordiamo opportunamente il discorso programmatico di Gesù, menzionato dall’evangelista Luca (4,14-30): salvare, cioè curare, guarire, risanare chi è perduto o chi porta il taglio del peccato e sanguina di nostalgia di Dio, resta la priorità di chi lo segue.
Tornare a viverci come fratelli! È questo che può ridarci la vita e ci tiene in vita! È questo che ci incammina verso la nuova Gerusalemme! I nostri spazi ecclesiali non sono altro che laboratori di fraternità, di comunione, di santità, dove l’unica regola abbracciata da tutti è il gareggiare nello stimarsi. Bisogna rimettere al centro la benevolenza: una parola smarrita, che il mondo considera superata, sorpassata, roba di altri tempi e di altri contesti. Al contrario, la benevolenza è un’espressione dell’amore di Dio che si manifesta come accoglienza gratuita, paziente. Fa il bene, infatti, chi vive secondo il cuore di Dio e serve i suoi sogni!
San Gregorio Nazianzeno, il teologo greco del IV secolo, nelle sue orazioni affermava il principio dell’universalità della benevolenza e spiegava che fare il bene è quanto di più divino esiste nell’uomo: «Che la vostra benevolenza sia come un fiume che scorre verso tutti, senza fermarsi davanti alle differenze. Siate pronti a perdonare, a consolare, a sostenere, perché così solo imitate il Dio che è amore» (Or. 17, 5). E per arrivare ai nostri tempi, la necessità di tornare a questa linfa vitale è resa ancora più urgente dalla penna del teologo tedesco, Jürgen Moltmann, che scrive: “Dio ha elevato l’uomo, gli ha dato la prospettiva di ampi e liberi orizzonti, ma l’uomo rimane indietro e si scoraggia. (…) Questo è il peccato che minaccia nell’intimo il credente. Ciò che lo accusa non è il male che egli fa ma il bene che trascura, non i suoi delitti ma le sue omissioni lo accusano di mancare di speranza”. Progredire nella benevolenza rappresenta il vero cammino verso Dio.
Settembre è il mese della progettualità, soprattutto per le realtà ecclesiali che, come ogni anno, danno avvio al nuovo anno pastorale. Questo avviene perché i credenti si lasciano interrogare da ogni parte sulla loro fede. Alla Chiesa, da sempre, è affidata la sfida di orientare le coscienze, di infondere la speranza, di rintracciare la vera radice del Nuovo Umanesimo, e lì ripensare, secondo il Vangelo, le basi dell’avvenire della civiltà, mediante una trattazione trasparente attorno alle correnti ideologiche mortifere, che minacciano l’oggi e la fiducia nel domani e che, per natura, puntano ad affermare il carattere di primato sugli altri, facendo ovviamente ricorso ad ogni sorta di male.
Dentro l’impegno di questo rimetterci tutti in cammino con più entusiasmo, è importante seguire la scia che Papa Leone XIV sta indicando con le sue splendide catechesi del mercoledì e porci in ascolto di quanto il nostro arcivescovo, Mons. Biagio Colaianni, sta tracciando lungo i momenti giubilari che vedono coinvolta la nostra chiesa particolare. L’auspicio è che queste esperienze profondamente spirituali e comunitarie si traducano in gesti di amore reciproco, permeando gli ambienti della quotidianità di generosità, di giustizia, di verità.
Ylenia Fiorenza



