IL RUOLO PREZIOSO DELLE AREE INTERNE

UN APPELLO ALLA SALVEZZA DEL TERRITORIO

Le aree interne d’Italia, da sempre marginalizzate, chiedono attenzione e azioni concrete. Un appello della Chiesa per tutelare e valorizzare il cuore pulsante del Paese, oggi sempre più a rischio di abbandono

È di una portata davvero rilevante, a livello non solo religioso ma anche – e oserei dire – civile, la lettera aperta che un gruppo consistente di cardinali e vescovi (compresi quelli del nostro Molise) lo scorso 26 agosto, dal centro “La Pace” di Benevento, ha scritto e lanciato all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale a difesa di quelle che, con un eccesso di atavica pigrizia collettiva, chiamiamo “aree interne”, ma che in realtà costituiscono una realtà consistente del Paese: quasi il 60% del territorio nazionale, più della metà dei Comuni, circa 13 milioni di abitanti (22-23% della popolazione). Un’Italia di mezzo – come la chiama l’urbanista Arturo Lanzani del Politecnico di Milano – vuota (come recita invece il titolo dell’ultimo libro del ricercatore territoriale Filippo Tantillo), poco considerata dalle strategie politiche nazionali, privata di istituzioni intermedie, marginalizzata dal peso delle città e trattata con sufficienza dalle burocrazie centrali.

In effetti, guardare l’Italia da qui richiede un radicale rovesciamento semantico e culturale. Solo piantando i piedi in queste terre possiamo respingere la retorica dell’abbandono e del sacrificio necessario, quell’idea semplificante che esista un solo modello di sviluppo, una sola idea di abitare, una sola idea di nazione a cui tutti devono sottomettersi. Eppure, l’Italia non vive solo nelle metropoli, nei grandi assi infrastrutturali o nei distretti produttivi: la sua anima pulsa nel suo sistema alpino, nelle valli, nelle colline, nelle città medie che custodiscono patrimonio artistico e identità, memorie.

Non possiamo e non dobbiamo rassegnarci a sancire la morte di una parte significativa della Nazione. Ne sortirebbe un danno per tutti,” ha scritto in proposito monsignor Felice Accrocca, arcivescovo di Benevento, ricordando a tutti che, accanto alle criticità, esistono enormi potenzialità, che hanno a che fare con il paesaggio e la natura, le economie diffuse, il sistema dell’accoglienza e dei nuovi stili d’abitare. Accoglienza degli stranieri, protezione degli anziani e reti contro l’individualismo: passa da qui, per i presuli, la sopravvivenza delle cosiddette aree interne del nostro Paese in generale ma, per quel che ci riguarda, anche di quelle molisane. Per salvarle da una “eutanasia” provocata da un mix micidiale di spopolamento, inverno demografico e nuove solitudini.

L’invito del Pastore dell’arcidiocesi sannita è stato fatto proprio anche dal cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, intervenuto anch’egli all’incontro beneventano, il quale, unitamente ai cardinali, arcivescovi, vescovi e abati presenti o comunque disponibili alla sottoscrizione del documento, si è reso promotore della “Lettera aperta al Governo e al Parlamento”, che sarà consegnata all’Intergruppo parlamentare “Sviluppo Sud, Isole e Aree Fragili”. Una tale presa di posizione a livello gerarchico non deve considerarsi comunque una novità, dal momento che ci si trova di fronte a un testo nato nel solco di un cammino avviato nel maggio 2019 proprio dalla Chiesa di Benevento.

L’intento è quello di avviare un “dialogo costruttivo”, in risposta al Psnai, il Piano strategico nazionale delle aree interne, approvato a marzo dal governo. Una misura che ha suscitato diverse perplessità: i fari sono puntati soprattutto sull’obiettivo numero quattro, che per alcune aree parla di “accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”. In sintesi, per i presuli, si tratterebbe di “un invito a mettersi al servizio di un ‘suicidio assistito’” di questi territori lontani da ospedali, stazioni, scuole e altri servizi essenziali.

Come vescovi e pastori di moltissime comunità fragili e abbandonate” – si legge nel documento – “non possiamo e non vogliamo rassegnarci alla prospettiva adombrata dal Psnai. In questi luoghi in cui la vita rischia di finire, essa può invece assumere una qualità superiore: guardarli con lo stesso spirito con cui ci si pone al capezzale di un morente sarebbe, oltre che segno di grave miopia politica, un torto fatto alla Nazione intera.”

Sono più di 13 milioni, come si scriveva all’inizio del presente contributo, gli italiani che vivono nelle “aree interne”, che in 10 anni hanno perduto quasi 700 mila abitanti. In questo quadro, la lettera ricorda che “la comunità ecclesiale resta una delle poche realtà presenti ancora in modo capillare sul territorio nazionale”.

Se, evidentemente, queste riflessioni possono manifestare una preoccupazione a livello generale, è altrettanto chiaro come esse ben afferiscano alla condizione particolare del nostro territorio regionale. Al riguardo, non bastano più i classici “fiumi di inchiostro”, anche dalle colonne del nostro mensile, ad illustrare una situazione socio-economica del nostro Molise che, definire “allarmante” o “ai limiti del collasso” sembra più che altro un eufemismo di maniera per evitare di cadere nella maldicenza o nello sproloquio.

Quale futuro potrà mai avere un territorio privo di strade in linea con i tempi, di ferrovie capaci di favorire le relazioni e l’inclusione, di un sistema sanitario davvero efficiente e pronto a venire incontro soprattutto alle esigenze dei più deboli (anziani soprattutto e adolescenti in cerca di un senso compiuto da dare alla propria vita…)? Pur con tutto l’amore che nutriamo per la nostra terra, facciamo davvero fatica a riconoscerci in tanti che, purtroppo, magari apprezzano la nostra gente e i nostri luoghi solo, ad esempio, per quella serie di sagre o feste agostane capaci di dare la facile illusione di un Molise davvero sereno e felice, ma che poi, magari già dal 20 di agosto in poi, torna nella sua plurisecolare tristezza esistenziale a motivo delle tante promesse, puntualmente disattese, circa un suo futuro non diciamo prospero, ma almeno dignitoso e senza disuguaglianze eccessive tra la sua popolazione.

Ecco: se si vuole davvero che di “aree interne” si parli in termini una volta tanto costruttivi e non solo sulla scorta di una retorica fine a se stessa, occorre rimboccarsi le maniche e mettersi, una volta per tutte, dalla parte degli ultimi. La Chiesa, come al solito, anticipa sempre tutti in questa sua lettura del tempo e della storia; lo ha fatto anche adesso, a pochi chilometri da noi, prendendo una posizione netta e chiara. Speriamo che lo facciano anche altri e, soprattutto, in modo davvero disinteressato.

Giuseppe Carozza