LA RIFLESSIONE

BANDIERA BIANCA

Un papa come Bergoglio si permette di suggerire una trattativa di pace per evitare la strage e un diretto interessato reagisce con tutto il suo piccolo staff opponendo uno sdegnoso rifiuto, con la stessa levità con cui un concorrente di un seguito programma televisivo non accetta la proposta del venditore di pacchi.

Ma i pacchi di cui si parla sono decine di migliaia di giovani uccisi in un conflitto senza senso, alimentato dalle scelte sbagliate di Europa e USA, sorto dopo la sistematica brutalizzazione delle istanze di autonomia nel Donbass a colpi di cannone e aggressioni documentate ma non registrate dai media occidentali per ben otto anni prima della reazione di Putin, dopo la parallela intromissione degli USA nelle libere elezioni del paese, e dopo la pressione e le esercitazioni della NATO ai confini della Russia per più di dieci anni.

Fatta questa premessa, analizziamo le parole di Papa Francesco.

OCCORRE CORAGGIO PER ALZARE LA BANDIERA BIANCA.

Significa sicuramente che questo coraggio lo deve avere Zelensky, cosa che può apparire ingiusto per un popolo che si difende in una guerra contro l’aggressore, se non lo si ridiscute secondo la prospettiva individuata poco prima. Ma il papa prende atto che i territori contesi e rivendicati sono ormai perduti e che alcuni paesi europei irresponsabili, non contenti, stanno pensando ad intervenire direttamente con armi e uomini nel conflitto rischiando di provocare una catastrofe nucleare.

Con il suo intervento Bergoglio vuole provocare la spinta decisiva verso la trattativa, che non consiste naturalmente nella semplice rinuncia ucraina ai territori occupati, ma prevede una ridefinizione dei confini salvando l’autonomia del Donbass, l’annessione di fatto della Crimea, che è sempre stata completamente russofona, e l’assicurazione che l’Ucraina non entrerà nella NATO, secondo la prima richiesta di Putin prima dell’operazione militare, sempre ignorata, fino alla sfida aperta di Zelensky pochi giorni prima dello scoppio della guerra.

E le parole del papa, soprattutto, non vengono pronunciate per caso poco tempo dopo che Ursula von der Leyen, autentica tragedia dell’Europa, aveva chiamato alle armi i paesi dell’Unione per inseguire e conseguire la vittoria. Purtroppo questa infausta valchiria ha conquistato anche la leader di casa nostra, che spesso stacca un biglietto d’aereo per quella terra martoriata facendo visita a un comico divenuto presidente con una curiosa e sospetta anticipazione in uno sceneggiato televisivo, autore poi di scorribande di sapore naziste nel Donbass prevalentemente russofono e infine sostanzialmente incurante delle sofferenze del suo popolo.

Se la prima identificazione della bandiera bianca coinvolge l’esercito di Zelensky avviene solo perché in questo momento la sua guerra appare persa. Perché altrimenti, in seconda battuta, il pontefice intenderebbe come destinatario dell’invito lo stesso Putin, con una semplice e immediata interruzione delle operazioni militari in vista di un accordo. Bandiera bianca significa in questa accezione non resa ma chiusura delle ostilità, come ha voluto precisare il Vaticano dalla sede diplomatica, interpretando la nota di Bergoglio in maniera meno umiliante per il paese che sta soccombendo, dopo la reazione dei media.

Che sia nel giusto il nostro papa è dimostrato proprio dalla reazione inviperita di quanti hanno per anni ignorato colpevolmente le azioni violente contro la popolazione del Donbass, assegnando addirittura sanzioni contro chi voleva contrastare un governo poco rispettoso delle minoranze, per poi assumere senza discutere la linea imposta dagli Stati Uniti, a loro volta colpevoli di manovre minacciose della NATO addirittura, contro ogni convenzione internazionale, entro i confini di un paese che non ne faceva parte, per ammissione dello stesso presidente Biden, che un mese dopo l’avvio della guerra imprudentemente rivendicava quelle grandi manovre di un anno prima per assicurare la protezione dell’Ucraina.

È difficile per i burocrati europei autori di una miope politica in questo paese ammettere il fallimento della loro operazione eterodiretta, condotta nella convinzione di difendere con simili discutibili sistemi la democrazia.

È bastato l’intervento quasi contemporaneo di un artista di strada animato dalla semplice volontà di avvicinare il “mostro”, superando la nostra diffidenza indotta dalla propaganda, per sconvolgere le certezze dei tanti mantici che soffiano indisturbati sul conflitto. Subito levate di scudi analoghe a quelle opposte contro il pontefice, ma questa volta con metodi e toni ben più lividi, trattandosi di un ragazzo e non di un’istituzione che incute rispetto come il Vaticano.

Jorit, il ragazzo napoletano di cui stiamo parlando, autore di un murale con il volto di una bimba di Mariupol, la cittadina delle stragi compiute dal battaglione Azov di Zelensky, autore di un altro con il volto di Ornella Muti, che si reca in Russia spesso senza problemi, autore altresì di un murale con il volto di Dostoevskij a Napoli, in un momento in cui la nostra squallida società voleva cancellare la letteratura russa, il giovane che ha voluto farsi fotografare con il mostro, è anche impegnato in altre cause umanitarie come quella palestinese.

Roberto Sacchetti