TEATRO NATURALE

UN PERICOLOSO SALTO ALL’INDIETRO DELL’AGRICOLTURA

Sto con chi coltiva la propria terra e sa che è piena di biodiversità, di vita. Chi sa, anche, che essa è la madre di tutte le madri, di noi umani come dei vegetali e degli animali. Sto con chi ama la natura ed ha ancora il senso del rispetto e degli altri valori, che ci rendono umani e ci legano all’altro per diventare comunità. Amo la mia terra, il Molise, perché espressione di ruralità e di biodiversità, i due caratteri persi laddove ha più inciso lo sviluppo e il progresso, dando vita alla pesante crisi che vive il clima. Uno sviluppo e un progresso a spese del territorio e della sua primaria attività, l’agricoltura. Non amo l’agricoltura industrializzata dei trattori alti tre piani e delle super concimazioni e super trattamenti che, per cogliere l’obiettivo della quantità, continua a distruggere la fertilità, cioè la vita che anima il suolo, e, con essa, la biodiversità. Non amo una espressione di questo tipo di agricoltura, quella delle coltivazioni superintensive, che ben rappresentano la filosofia di una società, il neoliberismo, del tutto e subito, ossia del consumismo spietato, come a voler raccontare il proprio non senso del limite e del finito, che porta a quella sensazione triste, sempre più diffusa, della non certezza nel domani dell’umanità. Io sto con il Santo Padre che non si stanca mai di diffondere riflessioni, frutto di attente analisi della realtà che vive il pianeta, e di rilanciare la speranza, la sola che serve per attivare presenza, dialogo, voglia di lottare per un nuovo domani, utilizzando la propria intelligenza, la sola che vale. Io sto con le raccomandazioni della Fao che da tempo ha dichiarato fallimentare e distruttiva l’agricoltura industrializzata, quella sostenuta con l’80% delle risorse poste in bilancio dalle politiche agricole comunitarie, che i trattori in strada non mettono in discussione perché fondamentali per continuare a depredare.

La mia sensazione è che la protesta in atto, non solo – come affermavo nel precedente articolo pubblicato da TN – arriva in ritardo ma è male indirizzata, visto che si vogliono accentuare le cause che hanno portato l’agricoltura ad essere fuori da uno sviluppo sostenibile e, così, messa al servizio delle banche e delle multinazionali, comprese quelle che controllano il mercato globale e, con la grande distribuzione, quelli locali. Io sono per il Green deal e il Farm to Fork, che affrontano, per risolvere, le grandi questioni (siccità, bisogno di acqua, rilancio della biodiversità, recupero della fertilità dei suoli e del patrimonio genetico) dando spazio alla sostenibilità.

Sono per un’agricoltura biologica, naturale, che non ha bisogno di enormi trattori e grandi mezzi per essere un lenimento per il clima invece che un veleno, come lo è da tempo. Tanto da rappresentare, con gli allevamenti superintensivi, la 2° voce, dopo i combustibili fossili, della pesante crisi climatica che rischia il non ritorno se non si corre ai ripari. Sono per rilanciare l’associazionismo e la cooperazione, mettendo insieme produttori e consumatori, per dar vita a nuove forme di distribuzione in modo da rendere i due soggetti i soli padroni delle filiere. Sono per non dare spazio alle multinazionali del cibo, che già producono farine di insetti (altro attacco alla biodiversità e alla natura). Sono ancor più contro la grande distribuzione che, con il suo assenso di questi giorni a collaborare, ha dato la tranquillità a questa loro azione. Ancor più chi sta lavorando per il cibo “coltivato”, in pratica per fare a meno dei campi ed offendere ancor più la natura, nel momento in cui viene meno il rapporto di millenni con le piante e gli animali. Ricordo che gli amici più stretti del dio denaro stanno investendo centinaia di migliaia di miliardi per questo futuro del cibo e ciò fa pensare che le proteste in atto – anche se non li vedono promotori, ma sicuri tifosi – vanno nel senso: non di risolvere la crisi che vive dal 2004 l’agricoltura, ma di accentuarla utilizzando i suoi protagonisti. Tutto e solo per ridurre a poca cosa il cibo, quello che sa di terra, di orizzonti, di soli e di lune, cieli stellati e nubi sparse o spesse, voli di insetti e canti di uccelli, tavole imbandite, convivialità, tradizioni. In pratica di territori dei quali è un importante testimone con la sua qualità e diversità.

Un sistema che si affida sempre più all’intelligenza artificiale fa pensare che quella dei componenti della natura non serve. Non a caso un sistema impazzito, che non ha, per la sua natura predatoria e distruttiva, alcuna possibilità di essere curato, ma solo rimosso prima che sia troppo tardi, quando la frattura in atto tra presente e passato diventa definitiva, con le nuove generazioni che, ancor più delle precedenti, non sanno niente del significato e valore di quell’unico grande tesoro che è il territorio, l’origine della qualità del cibo che, prim’ancora di riempire lo stomaco, nutre la mente e rallegra l’anima.

Pasquale Di Lena