L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

SOLIDARIETÀ TRA LE VARIE AREE DELLA NOSTRA PATRIA

Sul finire degli anni ‘90 la nascita di forti movimenti autonomisti, soprattutto nel Nord Italia, pose prepotentemente all’attenzione della classe politica e dell’intero Paese il tema della solidarietà tra le varie aree della nostra Patria. I movimenti autonomisti, non pronunciandosi sul fatto che il ceto produttivo del Nord vendeva beni e servizi al Sud arretrato ricevendone in cambio ingenti trasferimenti di risorse, contestavano allo Stato di avere investito ingenti fondi pubblici per lo sviluppo del Sud, fondi in realtà dispersi in mille rivoli e tutt’altro che destinati allo sviluppo dei territori meridionali. Nel 1996 il Governo dell’Ulivo, vittorioso alle elezioni, aveva previsto di riformare in senso autonomistico la struttura dello Stato, eccessivamente centralizzata e burocratica. L’idea di fondo era che enti territoriali prossimi alla popolazione potessero intercettarne meglio i bisogni e soprattutto che tutti i cittadini dovessero davvero fruire di livelli di assistenza e supporto da parte dello Stato compatibili con quelli garantiti da uno Stato che ambisce a definirsi civile e democratico.

In questo contesto si sono svolti i lavori della terza commissione bicamerale per le riforme istituzionali presieduta da Massimo D’Alema. Alla commissione fu attribuito il compito di elaborare progetti per la revisione della II parte della Costituzione, quella riguardante l’Ordinamento della Repubblica, e per la successiva sottoposizione a referendum popolare confermativo. Dai lavori della Commissione Bicamerale e dal c.d. progetto Amato – D’alema sono derivati gli spunti tradotti in norme dalla legge 3/2001 di riforma del titolo V della Costituzione. Questa legge ha ridefinito le competenze tra Stato e Regioni all’insegna di una più marcata applicazione del principio di sussidiarietà. Con questa riforma si stabilì che Regioni, Province e Comuni rappresentassero gli enti territoriali su cui si articola lo Stato. Vennero definite tutte le materie di competenza tassativamente Statale e le Regioni divennero titolari di tutti quei settori normativi non attribuiti allo Stato. Il novellato art. 116 terzo comma sancisce che le Regioni ordinarie possano chiedere ulteriori forme e condizioni di autonomia seguendo uno specifico procedimento. Il tutto per andare incontro alle pressanti richieste delle Regioni del Nord, definendo però un perimetro ben preciso al cui interno l’autonomia dovesse esercitarsi. Il tutto per preservare l’unità nazionale e il principio di sussidiarietà tra territori. Il 7 Ottobre del 2001 in Italia si è tenuto il referendum confermativo di cui abbiamo parlato, approvato con il 64,21% di voti favorevoli. La legge costituzionale 3/2001 modificativa del titolo V della costituzione fu promulgata dal Presidente della Repubblica il 18 Ottobre del 2001. Di fatto sancendo il prevalere di un federalismo cooperativo e solidale rispetto a una visione di federalismo competitivo e liberale. L’art. 120 della Costituzione sancisce che sia mantenuta la tutela dell’unità giuridica e la tutela dei livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Le Regioni che dovessero godere di particolari forme di autonomia ai sensi dell’art. 116 terzo comma della Costituzione sono obbligate a dare il proprio contributo solidale alle altre Regioni. È questa la vera innovazione della riforma. Tutti i cittadini devono godere di livelli essenziali di prestazioni, a oggi mai definiti con alcune evidenti sperequazioni che sono sotto gli occhi di tutti. Basti pensare ai molti meridionali che per curarsi devono andare negli ospedali del Nord. Così come ancora non si è definita la compartecipazione delle Regioni a una politica attiva di perequazione territoriale in termini finanziari.

La vera sfida è dunque consentire alle singole Regioni di determinarsi su specifiche materie in funzione delle proprie specifiche esigenze, definire quali sono i livelli di essenziali di prestazioni civili e sociali da garantire a ogni cittadino italiano e definire come al raggiungimento di tale scopo tutti i territori debbano contribuire attraverso meccanismi di perequazione finanziaria.

Il problema non è dunque un disegno di legge che indica come le Regioni possano richiedere l’autonomia rafforzata su tutte quelle materie che già oggi indica la nostra Carta Costituzionale.

La vera sfida è definire cosa debba intendersi per livello minimo di prestazione garantita a ogni cittadino in tema di diritti civili e sociali e quindi come tutti i territori debbano provvedere affinché vengano assicurati.

Su questo punto il tanto famigerato progetto di legge Calderoli inverte l’ordine delle priorità. Definisce come richiedere competenze esclusive senza invece indicare come garantire pari condizioni. Se si riportassero le cose nel loro giusto ordine (livelli essenziali – perequazione – autonomia asimmetrica) non si farebbe altro che il bene della nostra amata Patria.

Silverio Di Girolamo