EDITORIALE

UN CUORE CHE PENSA

La copertina di questo numero dice tutto. È eloquente e espressiva, con i suoi spazi e colori. Ci dice della crudeltà della guerra, che uccide, imprigiona, distrugge, viola. Colori scuri. Spazi di morte. Armi e distruzione. Con le conseguenti torture, che la violenza genera. Nei fragili e nelle persone deboli.

Dall’altra, la forza vincente dei colori luminosi e dei fiori profumati. Si oppongono direttamente alle scene di morte. Le neutralizzano, pur con difficoltà. Ma alla fine vincono la battaglia, poiché il cuore dell’attenzione non è dato dalle scene oscure, ma dalla vivacità dei colori portatori di speranza e di vita.

Nulla è perduto con la pace; tutto è perduto con la guerra: monito antico, che riecheggia ogni giorno, in questo tempo così smarrito che stiamo vivendo, dove la verità è ardua ad essere compresa ed ascoltata.

La marcia della pace, così frequentata, dove i bambini sono stati i protagonisti vitali e chiassosi, è stato un momento intenso e carino di speranza. Per tutti. Anche per chi ha vissuto quell’evento con superficialità. Il grido dei fanciulli ha attraversato la città e ha richiesto una svolta. Decisiva.

“Cessate il fuoco, ora”. L’hanno gridato, gridato ancora. Anzi, urlato, con decisione, con quella forza che hanno i piccoli di far sentire in alto la loro voce, vera e leale.

L’hanno detto a tutti anche con un segno ben visibile: un lungo lenzuolo bianco, testimone delle tante vittime innocenti, specie nella tremenda realtà di Gaza, città martire, schiacciata dalle truppe israeliane.

È proprio Gaza a dire che non basta l’occupazione militare.

Con la sua violenza taglia i nodi, ma non li risolve. Non li scioglie con la mano del futuro. Li aggroviglia ancor di più.

Solo la politica, saggiamente, potrà dare un futuro a questa striscia, martoriata, di terra. Non le armi. ì

Perché è alla radice dei problemi che dobbiamo andare. Non alle foglie ingiallite stanche o cadenti. Quelle radici chiamate a portare i frutti di pace, di futuro, di giustizia, togliendo fame, povertà, sfruttamento di persone e risorse.

Certo, educare alla pace resta il dovere più grande. Nel grido ripetuto e sofferto di Papa Francesco, che ad ogni udienza ripete questo monito all’umanità. Specie nei confronti dei giovani, perché solo un popolo educato con pazienza alla pace potrà portare i frutti di pace e di giustizia.

Uno di questi passaggi educativi sarà il rifiuto del valore degli  “influencer”, che sfidano la neutralità del commercio e dei valori. Perché il saper dare al denaro il suo giusto peso è la strada della giustizia.

Allora, è grande il “Gigi Riva” quel giocatore che si è rifiutato di accogliere i tanti miliardi di lire per passare alla ricca Juventus, restando invece legato alla sua isola, povera ma ricca di dignità e di tanto affetto. Il Cagliari ha vinto non perché è ricco ma perché è motivato.

Questa è la via della pace.

E questo è anche il monito di vera e seria preoccupazione che da tante parti si leva, nei confronti della scelta, ora attuata tra mille polemiche, in parlamento, nella approssimazione della autonomia differenziata. C’è infatti un “retropensiero” che avvolge in negativo: le zone ricche devono poter volare con una velocità maggiore, restando più libere e sciolte da “Roma”, vista come un peso e non come “misura”, di Bene comune.

Perché questa è la vera causa, autentica, della guerra: “Voglio essere più grande più potente di te, lo posso fare. E perciò, lo faccio, usando anche frettolosamente le armi che mi vengono offerte dalla “intelligenza artificiale”. Ecco perché proprio su questo tema si è indirizzato l’appello alla pace rivolto al mondo da Papa Francesco, il 1° gennaio.

Non basta possedere questo mezzo. Occorre saperlo guidare, con saggezza e lungimiranza. E la sua verifica di autenticità sarà l’uso ampio di esso. Se cioè saprà realizzare spazi di vera democrazia, a servizio sempre del Bene comune, di tutti. E non di pochi. Dei poveri e non dei ricchi!

A voi, carissimi, affido questo numero, il primo del nuovo anno 2024. È ricchissimo di notizie e di suggestioni. Uno spazio grande è stato dato, opportunamente, al nuovo vescovo monsignor Biagio Colaianni, con la spiegazione del suo simpatico stemma, così ben composto. Lo sguardo al suo profilo di vita ce lo rende più vicino.

Una storia in versi lo decanta con arguzia e schiettezza. Sottolinea soprattutto la precedenza che ha sempre dato alla “Grazia”, come fattore decisivo del suo operare, tra la gente della Basilicata. Siamo certi che sarà lo stesso per il suo lavoro, atteso, tra di noi. Buon lavoro.

+ padre GianCarlo Bregantini