Sono passati 100 giorni, ma non ci fermeremo finché non vinceremo». Lo ha detto il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant a proposito dell’occupazione di Gaza, sebbene dopo abbia attutito l’affermazione dicendo che la fase più acuta è terminata. Il primo ministro Netanyahu ha dichiarato che durerà ancora molti mesi questa guerra. Una guerra che ha provocato nel frattempo diecimila morti al mese tra la popolazione palestinese.
Non meno rigida è, come si sa, la posizione di Hamas che risponde di essere pronta a raccogliere la sfida e a far fronte all’occupazione israeliana con altrettanta decisione e per tutto il tempo dell’offensiva. Sembra non ci sia via d’uscita in questa spirale di violenza iniziata col massacro del 7 ottobre in cui hanno perso la vita 1400 israeliani, in gran parte civili, e altre 250 persone, tra cui circa 30 bambini, sono caduti nelle mani di Hamas.
La verità l’ha detta Rebecca Brindza, come riferisce l’agenzia Reuters: «Nessuno vincerà questa guerra». Non c’è niente di più probabile di queste poche parole di Rebecca Brindza, portavoce delle famiglie di 136 ostaggi israeliani detenuti da Hamas.
Lo abbiamo visto anche sul fronte altrettanto martoriato dell’Ucraina in cui la Russia vedeva “la vittoria” a portata di mano.
Anche in Ucraina si può vedere quanto sia vero che «nessuno vincerà questa guerra». A meno che non si vogliano chiamare vittoria la distruzione procurata, le città rase al suolo e il silenzio dei cimiteri. Perché dunque si combatte?
Se nessuno vincerà, vuol dire che si combatte per qualcosa di irrazionale, per una follia. Si combatte perché non si riconosce la verità più evidente: che gli uomini in realtà sono tutti fratelli, figli dell’unico Padre.
«La mia curiosità più lancinante» scriveva padre Christian de Chergé, priore dell’Abbazia di Tibhirine, prima di essere ucciso nel 1996 insieme ai suoi monaci da terroristi islamici, è quella di «immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam così come li vede Lui».
E il Padre non può vedere gli uomini, tutti gli uomini, se non come figli suoi e quindi tutti fratelli. La stessa cosa si potrebbe dire dei figli d’Israele. Se si guardasse a loro con gli occhi di Dio non ci sarebbe stata la Shoah e la scia di violenze che, come possiamo vedere, continua ancora oggi. Non ci sarebbe se soltanto si immergesse lo sguardo “in quello del Padre”, come scriveva il priore di Tibhirine. Non ci sarebbe spazio per le guerre, per il terrorismo.
Non ci sarebbe odio, un odio che è la negazione dello spirito religioso dell’uomo che si fonda invece sul dare credito a una promessa, a un’ipotesi di salvezza, di pace; a una promessa, cioè, di bene. Il terrorismo e la guerra sono infatti l’espressione di una disperazione, della perdita assoluta della dimensione spirituale della vita.
Guardiamo anche alla realtà storica. Potremmo così renderci conto di quanta verità ci sia in quelle parole: «Nessuno vincerà questa guerra». Sappiamo che gli americani, nel Vietnam, non vinsero la guerra, nonostante la schiacciante superiorità delle loro armi. Nemmeno l’Unione Sovietica, in Afganistan, vinse; nonostante una superiorità altrettanto schiacciante. Il Regno Unito fu tra le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, ma perse l’Impero; perse quello che era stato il più vasto impero che si era mai visto nella storia dell’umanità e a qualsiasi latitudine. Come si vede non c’è nessun motivo ragionevole per “credere” nella guerra.
La guerra è dunque soltanto una tragica follia.
Tornando alla Terra Santa, c’è da dire anche che questa, più di altre, è terra di Dio; come tale, più di altre, è terra di tutti. È per tutti. Se a ciò non si perviene per un senso di umana pietà, si consideri anche qui la realtà storica. Mai la Terra Santa è stata feudo di questa o di quella religione.
Non ci sono riusciti né i crociati cristiani, né i coloni israeliani, né la jihad islamica. Non c’è riuscito nessuno e con ogni probabilità nessuno ci riuscirà.
Paolo Tritto