LA PIAGA DEL CAPORALATO

UOMINI E CAPORALI

Non abbiamo bisogno di ricordare il famoso incidente dell’Agosto del 2018, in cui morirono diversi braccianti, per scoprire la piaga del caporalato, praticato in misura speciale da quando è aumentato il fenomeno dell’immigrazione in Italia.

In quella occasione il tragico evento portò a un’indagine approfondita sullo sfruttamento del lavoro straniero da parte di cinici proprietari e intermediari. Risultò che procuravano la manodopera quattro caporali e che tre imprenditori, due di Termoli e uno di Caserta, che aveva acquistato un appezzamento di terra a Campomarino, stabilivano le modalità di reclutamento e le condizioni dell’impiego, organizzavano i furgoni per il trasporto dei lavoratori, tenevano la contabilità reale e retribuivano con paghe da fame migranti costretti a raggiungere i campi su furgoncini e auto scassate e vivere in condizioni di degrado analoghe a quelle degli accampamenti di provenienza.

Ma l’uso improprio della manovalanza in agricoltura è un fatto combattuto non sempre con la stessa efficacia riscontrata in occasione di fatti che richiamano doverosamente un’indagine per accertare le responsabilità di un incidente stradale mortale.

Si passa troppo spesso sotto silenzio l’assoluta assenza di umanità e legalità nella raccolta e in altre operazioni nei campi. Si trascura di ricordare che alla base del reclutamento ci sono vere e proprie bidonville come quella di Lesina, tollerate da uno Stato che si è arreso da tempo a circostanze sempre meno controllabili e gestibili.

Naturalmente contribuisce a sostenere il fenomeno sia il gran numero di persone arrivate in poco tempo sul nostro territorio sia la condizione di illegalità di molti soggetti privi di permesso di soggiorno e facilmente ricattabili per questo. Se solo sapessero che nessuno dei loro sfruttatori (conterranei caporali o proprietari terrieri) ha interesse a denunciare il fatto, non si farebbero imporre paghe da fame più irrisorie di quelle determinate dall’enorme offerta di lavoro conseguente all’ammassarsi senza criterio in aree pronte a reclutarle.

La Bossi-Fini naturalmente ha la sua alienante influenza sulla cattiva gestione del fenomeno migratorio, offrendo facile terreno a proprietari ricattatori e sfruttatori. Se fossero tutti ritenuti lecitamente abitanti del nostro territorio, l’unica preoccupazione degli ispettori del lavoro potrebbe essere una lotta accanita contro coloro che non rispettano i contratti nazionali. E invece l’attenzione viene dirottata sul versante della clandestinità, riducendo il più efficace contrasto al caporalato.

Si passa sotto silenzio la presenza di accampamenti abusivi soprattutto in Campania e Puglia, con la compiacenza se non addirittura il favore delle istituzioni locali. Si pratica una pura esercitazione di cronaca folclorica a proposito delle fabbriche di prodotti contraffatti in aree a tutti note. Si cita addirittura distrattamente il racconto di chi sottolinea che spesso gli stessi detentori dei marchi di cui si dovrebbe denunciare la violazione supportano quelle attività che adulterano i sani principi del mercato.

Le condizioni di lavoro nei campi non sono molto dissimili da quelle delle tante piccole fabbrichette che pullulano sul nostro territorio. Non si arriva ai vertici di sfruttamento cinese (comunque tranquillamente tollerato nei fatti) ma poco ci manca.

La forma indegna dello sfruttamento si qualifica nella paga oraria, nello straordinario e nelle ore di lavoro sepolte in manovre dilatorie con cui si approfitta anche delle difficoltà con la lingua. A questo proposito raccomando all’attenzione dei lettori la funzione de mediatori culturali, unica forma dignitosa e nuova di impiego ottenuta dai soggetti più preparati. La loro presenza contribuisce a ridurre certe modalità di prevaricazione, ma non basta.

E’ vero che anche la nuova legge sul caporalato, inquadrando e prevedendo con le responsabilità dei caporali quelle dei datori di lavoro, ha migliorato potenzialmente la situazione, ma abbiamo continue prove che il sistema di controllo si muove con determinazione solo in occasione di eventi straordinari come quelli richiamati all’inizio. Questo si verifica nonostante che in diverse circostanze, soprattutto in Puglia, si siano raddoppiati i componenti del pool incaricato delle inchieste su un fenomeno che definire barbaro e incivile appare parziale e inadeguato.

In realtà dovremmo vergognarci di appartenere a una comunità che sfrutta dei lavoratori come nelle peggiori tradizioni. E non dovremmo accettare supinamente ricostruzioni giornalistiche sull’utilità del lavoro dei migranti per la nostra economia che prescindano dal non troppo banale concetto che quell’impiego di manodopera si connota spesso di schiavismo.

Roberto Sacchetti