ALBINO LUCIANI. VITA E AZIONE DI UN PASTORE

Chi abbia vissuto gli anni ‘70 e ‘80 sa benissimo che cosa abbia rappresentato l’avvento al Soglio Pontificio del Patriarca di Venezia Albino Luciani, seppur per poco più di un mese. C’era un’Italia ferita dal terrorismo, dalla crisi economica, dalla divisione tra i partiti, e tra questi e buona parte degli italiani.

Chi guardi a questo periodo e lo ricorda bene, si sovverrà anche del senso di sollievo che produsse negli italiani (come in tutti i cattolici) l’arrivo di Albino Luciani, che nel nome assunto come pastore e guida della Chiesa universale sintetizzava due mirabili esperienze: quella di Giovanni XXIII e di Paolo VI.

Chi abbia testimoniato l’arrivo di quel Papa non potrà non sottoscrivere ciò che il cardinale Stella, postulatore della Causa di beatificazione (che ha portato Luciani agli onori degli altari lo scorso 4 settembre), ha detto. Si è trattato di una beatificazione «senza sconti; un unicum storico». Anche perché, lo si ricordi, vi è stato l’inedito di vedere fra i grandi testimoni in favore di Albino Luciani un altro Papa: Benedetto XVI.

Non ripercorreremo le vicende legate alla beatificazione vera e propria. Riteniamo più utile sintetizzare un ricordo che possa essere di giovamento soprattutto alle giovani generazioni che non hanno conosciuto Albino Luciani. Stranamente, tuttavia, questi millennials, pur avendone sentito vagamente parlare, non di rado hanno aderito alla tesi complottista sulla morte, probabilmente a rimorchio di una cattiva e disinformata stampa.

Se dovessimo quindi sintetizzare il messaggio di Giovanni Paolo I per la Chiesa che fu chiamato a guidare, aderiremmo senz’altro all’opinione secondo cui per Luciani la Chiesa grazie al Concilio era una risalita alle sue sorgenti (così il cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin).

Com’è noto, Albino Luciani è stato portato agli altari per una guarigione miracolosa; nondimeno, tuttavia, il suo lascito per il cattolicesimo contemporaneo è quello di una chiesa fattasi umile, laboriosa e serena (per usare i termini del Postulatore della causa di beatificazione). Tutto questo a partire da quella humilitas scelta da Luciani per il suo stemma episcopale; e che il diretto interessato spiegò in questo modo: «Io sono polvere; la insigne dignità episcopale e la Diocesi di Vittorio Veneto sono le belle cose che Dio si è degnato di scrivere su di me; se un po’ di bene verrà fuori da questa scrittura, è chiaro fin da adesso che sarà tutto merito della grazia e della misericordia del Signore». Luciani non avrebbe mai immaginato su quale percorso la sua dignità episcopale avrebbe viaggiato: da Vittorio Veneto, a Venezia, fino al loggiato di Piazza San Pietro.

In questo periodo, i giornali italiani hanno ripreso la cronaca di quei trentatré giorni di pontificato di Luciani. Un’Italia in condizioni difficili, abbiamo detto. Giovanni Maria Vian in un suo recente volume, ha sottolineato che «è impossibile immaginare che Papa sarebbe stato Luciani: una figura di fatto sconosciuta e sicuramente non di spicco, ma alla quale sono state attribuite intenzioni di una radicale riforma della Chiesa, e la cui immagine di colpo è stata illuminata dalla sua morte improvvisa ed enigmatica».

Sull’enigma della morte di Giovanni Paolo II è stata fatta piena chiarezza, rendendo giustizia di tutte le voci, le illazioni e le superficiali accuse volate in merito a opache circostanze legate alla sua scomparsa. Alla base di tutto questo, la beatificazione ci ha svelato che il mondo ha davvero conosciuto una figura di sacerdote, di pastore e di uomo ancora tutta da scoprire; partendo semplicemente dal fatto che Albino Luciani, nella sua vita terrena, ha sofferto esattamente come la gente della sua terra (soprattutto in quella Grande guerra così dolorosa per il suo Veneto), e in ultima analisi come ogni altro essere umano.

Fu l’esempio doloroso ma anche dignitoso della povertà a convincerlo, per esempio, che i preti non dovessero avere conti in banca. E fu ciò che consentì a Luciani di trovare una linea di autodefinizione: sacerdote in preghiera; sacerdote che viveva veramente; sacerdote in piena sintonia con la gente.

Non sorprenderà allora anche il suo atteggiamento rispetto alle dittature. Ne ha parlato la nipote Lina Petri, ricordando non solo che Luciani considerava Hitler e Mussolini due matti da legare; ma anche l’aiuto dato a tutti coloro che durante la guerra vivevano drammi e difficoltà di ogni genere; e specialmente agli ebrei.

Altro esempio di grande, empatica carità cristiana fu la decisione di Luciani di autorizzare senza indugio i funerali pubblici cattolici per quel Pierpaolo Pasolini rimasto ucciso, si disse, in una «morte scandalosa». L’agenzia di stampa Vatican News ha ricordato le parole di Luciani in quella circostanza: «Ho autorizzato subito, non ho avuto alcun dubbio. Ho spiegato che abbiamo tutti bisogno della misericordia del Signore. Pasolini in Friuli, da adolescente, era attaccato alla chiesa e questo lo metto come base».

In questo periodo di ritorno sui banchi di scuola di molti bambini e ragazzi, non sarà inopportuno citare la “versione di Giovanni Paolo I” della favola di Pinocchio. Albino Luciani non aveva in mente «il ragazzo che marinava la scuola per andare a vedere i burattini; ma l’altro ragazzo, il Pinocchio che ci aveva preso gusto ad andare a scuola, cosicché per l’intero anno scolastico, a lezione, era il primo ad entrare è l’ultimo a uscire». È un pensiero che richiama alla mente le lettere immaginarie che Albino Luciani raccolse in un suo bel volume intitolato Illustrissimi.

Immaginare un mondo in cui ci fosse spazio per tutti, e soprattutto per coloro che (avrebbe detto Lucio Dalla) erano «i più poveri e i più soli, quelli presi tra le reti». Era questa la cifra di Albino Luciani.

E come dimenticare il suo sorriso? «Con il sorriso – ha detto Papa Francesco – Papa Luciani è riuscito a trasmettere la bontà del Signore. È bella una chiesa con il volto lieto, il volto sereno, il volto sorridente, una chiesa che non chiude mai le porte, che non inasprisce i cuori, che non si lamenta e non cova di sentimento, non è arrabbiata, non è insofferente, non si presenta in modo arcigno, non soffre di nostalgie del passato cadendo nell’indietrismo»

Un altro aspetto va sottolineato in questa breve sintesi su Papa Luciani: l’attenzione alla pace nel mondo. «In questi momenti – osservava il Papa a ridosso degli importanti eventi interessanti il Medio Oriente – ci viene un esempio da Camp David. Ieri l’altro il Congresso americano è scoppiato in un applauso che abbiamo sentito anche noi quando Carter ha citato le parole di Gesù: “Beati i facitori di pace”. Io veramente mi auguro che quell’applauso e quelle parole entrino nel cuore di tutti i cristiani, specialmente di noi cattolici e ci rendano veramente operatori e facitori di pace».

L’attualità di queste osservazioni non ha bisogno di essere spiegata. La pace e vulnerabile. La pace è un elemento delicato; e le macerie sparse per ogni dove in Ucraina stanno oggi a testimoniare la cattiva semina di chi ha quella guerra ha provocato. Nella sua riflessione per la pace ritornano in Albino Luciani gli echi della Gaudium et Spes e del magistero del suo predecessore, il cui approccio era quello di parlare potenti utilizzando semplicemente la forza della fede, della santità e della preghiera.

Perché tutto ciò contava, e conta, molto più delle armi.

Matteo Luigi Napolitano