LA SOFFERENZA CAMMINO DI SANTITÀ

FRA IMMACOLATO: UN MISTICO NELLA FERIALITÀ CAMPOBASSANA

É giunto anche per fra Immacolato, al secolo Aldo Brienza, il decreto sulla venerabilità. Ora il mistico carmelitano, inchiodato in un letto di sofferenza per ben 51 anni nella propria abitazione, sita nella centrale piazza Cuoco al civico 2 di Campobasso, viene acclarato come icona d’amore oblativo, essendo stato associato alla passione di Cristo, facendo del suo soffrire una profusione continuata di preghiera, sostegno, riparazione per i suoi “Diletti Christi”, i sacerdoti.

Dalla sua lettera del 27 giugno 1938 apprendiamo che l’origine della sua malattia è stata dovuta alla puntura di un insetto velenoso, che gli ha causato un flemmone al piede sinistro, necessitante di diversi interventi chirurgici, causandogli la setticemia, convertitasi in osteomielite deformante alle gambe:, la sentenza finale! Quindi la permanenza forzata al letto, con dolori lancinanti, senza tregua, unitamente a prove mistiche, umane… La meraviglia che destava in quanti lo visitavano e conoscevano la sua situazione era che, nonostante l’acerbità dei dolori, la repellenza delle sue piaghe, egli non emettesse alcun lamento né si abbandonasse a sconforto, ma sempre, comunque e con chiunque, mostrasse un sorriso disarmante.

La sofferenza di fra Immacolato, rispondeva ad un misterioso progetto divino, favorito dalla sua innata docilità. Dio gli chiedeva di associarsi alle sofferenze di Cristo per vivere la vocazione vittimale per la santificazione del sacerdozio cattolico in particolare, poi per i religiosi e peccatori. Da parte sua, egli aderiva con costante, radicale disponibilità alla volontà crocifiggente divina, immortalata in frasi come: “salgo il calvario con il sorriso con gioia”, oppure “il dolore è nulla per chi ama, crede e spera”.

Particolarmente nitida nella sua spiritualità è la componente cristologica. Gesù Cristo è il suo tutto, perché tutto è orientato a lui, finalizzato a lui,  associato a lui, e da lui si originava il suo apostolato. In una lettera affermava: “l’unica mia consolazione è di essere crocifisso con lui, immolato con lui, offerto e sacrificato da lui e con lui”. Ed ancora: “Gesù mi elesse per la via della croce…”; “Ogni sacrificio è una goccia di sangue data a Gesù”. Era convinto di “essere per lui una piccola ostia di amore e di dolore”, specificando: “tutto per me sia segnato dalla croce”. Dunque, il suo soffrire è Cristo, mentre il paradigma che ha scandito questo lungo processo di configurazione al Cristo crocifisso è stato: “come Gesù vuole”.

In un primo momento fra Immacolato ha chiesto, anche insistentemente, al Signore la guarigione, per coronare il suo sogno di vocazione claustrale religiosa e sacerdotale, come lui stesso ci attesta nelle sue lettere. Ma la vera guarigione si è verificata quando è passato dal desiderio di guarigione alla comprensione del senso della sua malattia, per confermarsi crocifisso d’amore dello Sposo crocifisso per le sue sofferenze. Tuttavia, il suo calvario non doveva trasparire agli occhi degli altri, bensì rimanere nascosto. Scriveva: “il mio calvario… nascosto, silenzioso… serbare a lui solo l’intensità delle mie sofferenze”; e ancora “voglio essere volontà di Dio… un sorriso della volontà di Dio… un turibolo di sofferenze”.

Nella Pasqua del 1951 scriveva: “Ho domandato la croce a Gesù… e  renderci anime di croce…”. Tale proposito è confermato in un altro passaggio epistolare: “voglio essere un’anima di croce”. Gesù lo accontenta. Ne fa fede la missiva del 21 luglio 1951: “Gesù toglie dalla mia strada  tutto ciò che mi sostiene e mi illumina; mi fa salire solo il rude cammino del calvario, ritira da me ogni consolazione. Di questo non mi rattristo, so bene che la croce è il mistico bacio dell’anima di Cristo all’anima della sua sposa”. Ecco perché si definiva “alfiere della sofferenza”, ma pur sempre nel fermo proposito di rimanere nascosto agli occhi del mondo. Circa l’intensità delle sue sofferenze, scriveva il 10 marzo 1952: “provami quando vuoi, fai di me quello che vuoi, ma io non ti dirò mai basta, non dicendoti che non ne posso più”. Perciò aggiungeva in un altro passo di lettera: “… Sappia essere croce per irraggiare Gesù che tanto mi predilige fino ad inchiodarmi alla sua stessa croce”.

Un’attenzione particolare e filiale è riservata la Madonna. Il 10 dicembre 1952 scriveva: “… È lei che, sin dal primo istante della mia vita, mi ha consegnato col sigillo dell’immolazione, mi ha formato per Gesù, mi ha riservato presso Gesù…, ha guidato i miei passi sempre. Se ho ben compreso il valore della croce, se al primo istante ho amato ed invocato la sofferenza, è suo dono”. Per il particolare legame alla Vergine, avanzò nella lettera del 23 febbraio 1951 la seguente richiesta: “sento di chiedere ai Superiori del Carmelo di modificare il nome di religione, mi pare che d’ora innanzi dovrò chiamarmi fra Immacolato… A me sembra un nome singolare e non adatto a me che sono fango e peccato…”.

Nel soffrire di fra Immacolato i beneficiati principali erano i sacerdoti, i suoi “diletti Christi”, così li definiva. Per la causa della loro santificazione nulla lesinava per sé, anzi si diceva disposto a vedersi moltiplicare le crocifissioni del cuore, quanti erano i sacerdoti da amare. Detto amore per i sacerdoti è spiegato nella lettera del 30 marzo 1951: “il Signore ha chiesto il sacrificio di non offrire il santo sacrificio e sono diventato sacerdote e vittima del mio stesso sacrificio”; ed ancora: “mi ha chiamato ad una sublime missione… ostie sacerdotali: la mia missione è di offrire e soffrire per… Sacerdoti santi”. Così fra Immacolato passa dal desiderio di essere sacerdote per offrire il sacrificio al divenire ostia di sacrificio nelle mani del Sommo Sacerdote.

Egli ha rifuggito dall’essere un’anima mediocre. Il suo esempio ci sproni a diventare ciò che siamo: capolavoro di Dio nella ferialità della vita!

Fra Luigi Maria La Vecchia