INSEGNARE LA PACE ALLA LUCE DELLA PASQUA

INSEGNARE LA PACE ALLA LUCE DELLA PASQUA

L’abitare ermeneutico dell’IRC e dell’IdR

A seguito dei molti avvenimenti drammatici e tragici di questi giorni, che hanno avuto molteplici e variegati riverberi nel cuore e nella mente di tutti, si può affermare che difficilmente un docente può entrare nelle proprie classi, fisiche o virtuali, e fare lezione come se nulla fosse accaduto, non percepire in maniera netta il contrasto tra il messaggio di cui è portatore e le notizie sulla guerra in Ucraina.

Nello specifico, un insegnante di religione deve prestare attenzione – come sentinella che attende l’aurora – ai momenti e ai modi in cui nei propri allievi e studenti si ridesta, o comincia a ridestarsi, qualcosa che interpella il profondo del proprio essere e che viene immediatamente percepito come avente a che fare con una questione centrale e generativa: perchè? 

E deve farlo in un orizzonte culturale ed ermeneutico più generale che rende tale insegnamento, oggi più ancora che in passato, una disciplina “messa alla prova”.

Con questa consapevolezza gli Insegnanti di Religione Cattolica (IdR), di ogni ordine e grado si trovano a dover agire all’interno di una relazione educativa che in questo periodo è “ferita in vario modo da scene di guerra […] che vanno spiegate ai vari alunni – in quanto – in contraddizione con il messaggio di speranza e di pace della Risurrezione”.

Pertanto il 6 aprile c.a., presso la Chiesa Mater Ecclesiae di Campobasso, si è tenuto il ritiro di Quaresima in preparazione alla Pasqua per gli Insegnati di Religione Cattolica chiesto e diretto dal Vescovo dell’arcidiocesi Campobasso-Bojano, padre Giancarlo Maria Bregantini, avendo come tema: “Insegnare la pace alla luce della Pasqua”.

L’incontro si è svolto nella doppia modalità di incontro formativo e laboratoriale.

Nella prima parte si è riflettuto sulla questione che l’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC) non può porsi solo obiettivi informativi-espositivi, ma deve necessariamente porsi anche obiettivi performativi.

Così come si legge nel documento “Educare alla vita buona del Vangelo”, esiste un nesso stretto tra educare e generare (EVBV27). Infatti una educazione generativa si caratterizza per l’impegno ad intercettare, analizzare, valorizzare e valutare le nuove conoscenze e idee verso la costruzione di una narrazione che sa leggere la complessità e rappresentarla con gioia e speranza.

È oggi richiesto all’IRC, e le notizie sulla guerra lo impongono, di insegnare le grammatiche della domanda, di lasciare la dimensione trasmissiva, gerarchica ed emulativa, per stimolare l’emergere di una nuova cultura, di superare la separazione della conoscenza dalla vita, il sapere dal saper fare, l’enunciazione del problema dalla costruzione della risposta.

Si tratta cioè di concretizzare quanto Papa Francesco propone nell’Enciclica Evangelii Gaudium; dove si riconosce la necessità di rinarrare le verità evangeliche con strumenti e linguaggi comprensibili alla cultura del terzo millennio e come risposta valida e credibile agli attuali interrogativi del mondo contemporaneo, di cui l’attuale guerra sembra rappresentare una dolorosa sintesi.

Come sottolineava anche la prof.ssa Linetta Mazzilli Colavita, nel suo intervento formativo, in un tale contesto, la didattica dell’IRC non può trascurare o sottovalutare i compiti di sviluppo del bambino e dell’adolescente, ma, al contrario, li deve rispettare e rispondere con proposte formative adeguate. Tale didattica sostiene, così,

lo sviluppo di personalità maturate in senso umano e cristiano, consapevole del fatto che l’identità non equivale ad un calco inciso a priori ma è piuttosto un’opera d’arte in divenire, un progetto costruito nel tempo, a cui sia Dio che l’uomo mettono mano.

Questa riflessione ermeneutica sul processo educativo comporta di mantenere al centro la Persona, la quale è strutturalmente in relazione non solo con se stessa nei propri dinamismi interiori, ma anche con i vari orizzonti di vita da cui attinge stimoli e orientamenti risolutivi per la sua maturazione.

L’IdR dovrà, pertanto, essere capace di realizzare in sé una comunione tra fede e ragione, fede e cultura, fede e memoria del passato, esistenza e trascendenza. Il suo sé personale e spirituale dovrà motivare e accendere di entusiasmo e di passione l’insegnamento religioso.

Questa consapevolezza è stata il filo conduttore di tutta la seconda fase dell’incontro.

I vari docenti si sono divisi in gruppi, misti nell’ordine e nel grado di istruzione, per confrontarsi con la realtà concreta e porsi in un atteggiamento di continuo interrogarsi, che passi al setaccio la prassi che si realizza in aula e il suo intreccio con la vita di ciascun allievo, al fine di verificare se, e sempre meglio, il sapere religioso acquisito diventa o potrà diventare strumento generativo dell’agire libero e consapevole di ciascuno.

Di fronte alle variegate esperienze riportate, soprattutto in relazione a come gli studenti ,dei vari ordini scolastici, si rapportano al tema della guerra, a come lo percepiscono e metabolizzano e alle relative strategie che il docente deve mettere in atto all’interno della relazione educativa, è emersa la consapevolezza che l’IdR è una professionalità che forse più di tutte può concretizzare quell’abitare ermeneutico che si esprime nel maturare una presenza cristiana originale, profondamente ristrutturata attorno ai valori evangelici scelti come riferimenti centrali.

Dal confronto è venuta fuori una consapevolezza già acquisita, ma molto più sintonica con la realtà attuale: il linguaggio, con i suoi significati relazionali, è costitutivo dell’esperienza umana (DC204). I ragazzi, di ogni età, hanno mostrato il bisogno di narrare e narrarsi, di verbalizzare le emozioni e i pensieri, di utilizzare tutto il linguaggio nel suo duplice carattere formativo e performativo per dare consistenza e dimensioni accettabili alle emozioni e alla speranza nel futuro.

La percezione della guerra tra gli alunni dei vari ordini è articolata e composita: i bambini dell’infanzia “respirano” le tensioni dell’ambiente circostante e quindi la relazione educativa necessita di orientarsi verso l’interiorizzazione di concetti positivi (come ad esempio l’amore, la pace, la fratellanza), gettando le fondamenta su cui si svilupperanno le strutture di significato e di identità. I bambini della primaria pongono interrogativi e riflessioni che hanno bisogno di una gestione significativa e rispettosa dello sviluppo del pensiero critico infantile.

Nella secondaria di primo e secondo grado si è riscontrato come il mondo delle attuali generazioni sia pluridimensionale e frammentato al tempo stesso, dove le scelte possibili non hanno alcuna coerenza fra loro; di conseguenza il pensiero critico dei ragazzi si dibatte tra: i pre-giudizi costruiti a partire da una cultura digitale sempre più disorganica e decontestualizzata, frutto di una “società sempre più liquida”; l’indifferenza dovuta ad un desolante ripiegamento su se stessi, causato da quello che viene definito “pensiero debole”; ossia la mancanza di strutture di significato solide attorno a cui costruire la propria identità; e l’interiorizzazione della guerra come fattore scatenante di profonde e radicali domande di senso e di un diffuso bisogno di orizzonti criteriologici per leggere la propria vita.

Di fronte a tutto ciò è emerso come il dialogo possa essere considerato il paradigma di ogni rapporto comunicativo, nella misura in cui, dialogando, l’interlocuzione viene a realizzarsi nella maniera più adeguata.

Insegnare la Pace alla luce della Pasqua” diventa, dunque, un percorso educativo che si configura come un dialogo interrogante che si confronta con una Tradizione vivente (quella cristiana), cercando di leggerne i testi a partire dalla Bibbia e coglierne le testimonianze (storia degli effetti) nella storia, nella cultura… e nelle persone viventi che incarnano tale messaggio, compreso il docente di religione.

Durante la fase di sintesi dell’incontro, in cui si presentavano le relazioni dei vari gruppi, è emerso che l’originalità dell’antropologia cristiana pone come dinamica originante la dignità della Persona, l’apertura ad una Parola che, donandosi nella relazione con l’altro, svela il senso profondo del mistero che ogni uomo porta in sé.

Nella misura in cui ogni domanda sollecita una risposta, l’ultima categoria di riferimento è quella del dialogo, inteso da un lato come dialogo educativo-didattico, e dall’altro come categoria dell’umano: dialogos, in cui emerge e si svela il logos nelle dinamiche concrete del linguaggio.

Il compito dell’IdR dovrà, quindi, essere quello di con-vivere con l’alunno: nel senso profondo del termine. Cioè aprirgli orizzonti di crescita culturale, umana e civile; in quanto attraverso l’esempio personale può schiudere ai giovani una grammatica della fede capace di educare al vero, al bello, alla speranza, alla fiducia, al rispetto, alla fedeltà, così come all’appartenenza ecclesiale, al riconoscimento in un universo comune che non annulla ma, al contrario, vuole gettare le basi di quella “Giustizia che prepara la Pace”.

In una tale ottica si può azzardare a dire che “l’ora di religione” potrebbe in modo speciale contribuire a ridare slancio al compito educativo in generale.

È ormai evidente, infatti, che il problema educativo attuale non si radichi in ambiti particolari, di carattere didattico o metodologico, né possa risolversi con il ricorso a una qualche, anche aggiornatissima, azione didattica: il problema educativo evoca la crisi, culturale e intellettuale, dell’idea di formazione e con essa dell’intera architettura a sostegno della formazione umana; la quale deve essere accompagnata da narrazioni credibili e convincenti, rispondenti alla reale esistenza umana e ai suoi bisogni.

Ecco, allora, che si tocca proprio il tessuto fondamentale dell’identità cristiana, che considera la centralità di Cristo nella vita, come scriveva Benedetto XVI:

All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva.

Carmen di Santo