Due questioni sulla guerra

Se davvero vogliamo fermare la guerra perché mandiamo armi? E perché aggraviamo le sanzioni? Per la prima questione ricordo che armare gli ucraini significa prolungare la loro agonia, visto che non vogliamo entrare direttamente in guerra e la superiorità russa in questo caso non si discute; e soprattutto non possiamo, con l’invio di armi, proporci come mediatori in una trattativa. Per la seconda questione si tenta un’altra via impossibile e controproducente, quella di volere affamare un paese per ridurlo a una sconfitta militare, cosa che non si verificherà mai.

L’unico modo di andare a una trattativa, se veramente questo è quello che si vuole, è azzerare l’invio di armi, ridurre le sanzioni e convincere le parti a sedersi a un tavolo, concedendo agli ucraini l’ingresso in Europa e ai russi la garanzia che non entreranno nella Nato. La situazione nelle regioni rivendicate da Putin sarà poi affidata a un referendum popolare. Infine, al posto delle sanzioni, si dividerà con i russi il peso economico della ricostruzione: gli occidentali impegneranno le risorse corrispondenti al danno che vecchie e nuove sanzioni hanno finora prodotto per loro, i russi quelle che comunque avrebbero dovuto utilizzare per sostenere un prolungamento dell’operazione militare e una critica e logorante occupazione di territorio nemico.

Quello che propongo farà superare lo stallo e interromperà “l’inutile strage”, come la definì Benedetto XV durante la prima guerra mondiale, un papa alla cui figura appunto volle richiamarsi il mai troppo lodato Ratzinger scegliendo lo stesso nome.

Fatta questa premessa, si può riavvolgere il nastro per riesaminare la tragica concatenazione di eventi e di responsabilità che ha condotto alla situazione che abbiamo sotto gli occhi.

La Nato, vista la vicinanza del paese alla capitale della Russia, non doveva fare esercitazioni in territorio ucraino, come sembra certo per le stesse imprudenti ammissioni di Biden, ancora prima che quello stato decidesse di farne parte.

Gli Stati Uniti non dovevano impegnare i loro servizi segreti nell’epurazione del filorusso Yanukovych e poi nell’elezione di Zelensky.

I nazisti ucraini, esistenti, come sembra certo anche qui per le loro recenti esibizioni durante la guerra, non avrebbero dovuto aggredire i filorussi del Donbass e di altre regioni subito dopo la loro richiesta di separazione.

Zelensky non avrebbe dovuto accettare la collaborazione dei nazisti e non avrebbe dovuto dichiarare di volere fare entrare a tutti i costi il suo paese nella Nato.

Putin rimane oggettivamente e seriamente responsabile di una durissima guerra. Niente altro. Ma è più che sufficiente per condannarlo di fronte alla storia. E’ il peso che tutti i grandi protagonisti sopportano come conseguenza di azioni che sul momento loro appaiono giuste e inevitabili per il loro paese.

Questo il ragionamento freddo, liberato dal coinvolgimento emotivo, che la stragrande maggioranza dei media nostri e di altri paesi avrebbe dovuto condurre alla vigilia della guerra e nei primi suoi tragici giorni dopo un’attenta documentazione, per la quale non mancavano elementi probanti, soprattutto mettendo a frutto l’esperienza degli errori già fatti con la primavera araba e con la crisi libica. Il nostro paese in particolare non avrebbe dovuto ancora una volta, come in Serbia, produrre uno strappo alla costituzione.

Roberto Sacchetti