RITI CARNEVALESCHI IN MOLISE

IL CARNEVALE NELLE TRADIZIONI MOLISANE

Il periodo del carnevale ha inizio con la festa di Sant’Antonio abate il 17 gennaio e copre un arco di tempo abbastanza lungo, che termina il martedì grasso, giorno precedente il mercoledì delle Ceneri, inizio della Quaresima. Da due anni non è possibile assistere alle splendide sfilate e rappresentazioni a causa dell’emergenza pandemica. Nel cuore di tutti, però, è custodito il desiderio di poter tornar presto a organizzare eventi che riuniscono in strada gente di ogni età e portano gioia e spensieratezza. In Molise il carnevale è molto sentito e festeggiato in tante comunità. In particolare desidero soffermarmi sul carnevale di Tufara, piccolo comune in provincia di Campobasso e su quello di Castelnuovo al Volturno, la frazione più popolosa e antica di Rocchetta a Volturno, comune in provincia di Isernia. Le informazioni da me raccolte mi sono state gentilmente fornite da Mauro Gioielli, giornalista, demologo, profondo conoscitore delle tradizioni popolari molisane e da Giovanni Recchia ed Ernest Carracillo, presidenti rispettivamente dell’Associazione Antica Maschera “Il Diavolo” di Tufara e dell’Associazione “Il Cervo” di Castelnuovo al Volturno.

Il Carnevale a Tufara

Questa tradizione è conosciuta come il “Diavolo di Tufara” e rappresenta una “bestia feroce che non ha nome”. La manifestazione si svolge il martedì grasso, il protagonista è un animale vestito di sette pelli di capra, con una lingua lunghissima e in mano una forca tridente. Si sposta incatenato e accompagnato da tre “Folletti o Monaci”, vestiti di bianco e ornati di nastri colorati. Il loro compito è domare il diavolo, che si sposta con tutta la sua irrequietezza. Durante la sfilata, infatti, egli si rotola spesso a terra, fa capriole improvvise, urla, si agita molto, muove continuamente il tridente. Sinceramente mette un po’ di paura anche agli spettatori…! E’ una maschera davvero carica di vitalità. Nell’esibizione compaiono anche altri personaggi. Uno è la “Doppia Morte”, rappresentata da due persone vestite di bianco, con una falce in mano, che si dimenano e parlano con voce tenebrosa. Poi c’è il “Pisciatur”, che rappresenta gli eccessi del carnevale. Questo gruppo si muove freneticamente tra la folla e la incita a seguirlo. Il corteo termina il suo allegro giro davanti al castello medievale, dove è allestito un fantoccio, che rappresenta il carnevale. Qui giunti, il diavolo ne chiede l’anima. C’è una giuria composta da un presidente e due giudici, che esprimono un giudizio su di esso. La madre e il padre di carnevale chiedono la grazia di salvare il figlio, ma senza successo: è infatti condannato a morte. I membri della giuria gli domandano se vuole esprimere un ultimo desiderio, prima dell’esecuzione e lui chiede un piatto di spaghetti, che ovviamente gli viene concesso.

Verrà giustiziato con due colpi di fucile e sarà gettato giù dalla rupe. Il diavolo avrà così avuto la sua preda e si calmerà.

L’associazione “Il diavolo”

L’associazione è stata fondata nel 1999 con lo scopo di mantenere viva questa antichissima manifestazione. Purtroppo il vecchio archivio comunale è andato distrutto da un incendio nel 1880, per cui non è stato possibile risalire alla data precisa dell’origine di questo straordinario evento.

Attualmente l’associazione conta circa 70 iscritti e i figuranti nella rappresentazione carnevalesca sono tra i 20 e i 25. Questi si occupano di allestire la piazza dove si svolgerà l’evento, in più pensano a reperire le pelli di capra, che vengono fornite da macellai di Casacalenda, per poi essere cucite il giorno stesso sui corpi dei figuranti. I componenti si impegnano con passione pur di mantenere la tradizione, che chiaramente attira persone da tutta la regione e dai territori limitrofi.

Significato del rito

Il rito del “Diavolo” rappresenta uno dei tanti eventi attesi e apprezzati dai molisani.

Anche se i figuranti appaiono inquietanti – si muovono in gruppo e fanno tanto rumore perché danzano, corrono, saltano urlando e qualche volta creano un po’ di “spavento” – intendono lanciare un messaggio ben preciso agli spettatori.

Il fantoccio rappresenta gli eccessi della vita, la sua condanna a morte è il passaggio dalla vita vecchia, che si deve purificare, a quella nuova, purificata, libera, protesa a guardare avanti. Un monito, dunque, a lavare le precedenti colpe e a ricominciare con sguardo più fiducioso verso il futuro.

“Gl Cierv”  di Castelnuovo  al Volturno

Questa frazione di Rocchetta a Volturno in passato era una rocca feudale molto popolosa, appartenente alla diocesi di Montecassino. In una splendida cornice, da cui si possono ammirare le Mainarde, l’ultima domenica di carnevale, si svolge da tempo immemorabile la pantomima dell’Uomo – Cervo. Il protagonista è vestito con pelli di capra, ha il volto e le mani dipinte di nero, in testa porta un copricapo di pelle nera con enormi corna di cervo. La maschera è arricchita da campanacci legati attorno al corpo. Il suo alter ego femminile è la Cerva, vestita di pelli marroni. Gli altri figuranti sono Martino, un Pulcinella–Montanaro, che è l’antagonista dei cervi, e il Cacciatore. Negli ultimi anni, a dare maggiore suggestione alla manifestazione, sono state introdotte le janare, ossia streghe megere, seguaci dello stregone Maone, che danzano prima dell’arrivo del Cervo, con le musiche degli zampognari. All’improvviso cala il silenzio e si sente il grido dell’animale, che scende tra la gente con tutta la sua forza e rabbia, distruggendo tutto ciò che incontra, dimenandosi e rotolandosi. La cerva cerca di ammansirlo, ma il cacciatore ne approfitta per imbrigliarlo con delle funi.  Il cervo si imbestialisce ancor di più e al cacciatore non resta che uccidere i due cervi, con colpi di fucile. Alla fine, però, ridà loro la vita soffiando loro negli orecchi. I cervi, ormai diventati mansueti, ritornano verso i boschi. Anche questa manifestazione è ricca di significati allegorici. Essa rappresenta il passaggio dalla stagione invernale, in cui tutto è fermo e in letargo, a quella primaverile, in cui la natura si risveglia e genera nuova vita. Per questo passaggio indispensabile alla rinascita della natura, è necessaria una morte sacrificale. Negli ultimi anni la manifestazione è organizzata dall’associazione culturale “Il Cervo”, nata nel 1993 e composta da circa 40 persone.

Conclusioni

I due riti sono molto apprezzati dal pubblico. Ogni anno attirano migliaia di persone che, anche se inizialmente intimorite, restano affascinate dall’originalità sia delle rappresentazioni che delle scenografie suggestive che le caratterizzano. Un plauso va agli organizzatori che si prodigano tutto l’anno con passione, impegno e senso civico per preparare le scene, i costumi, le musiche, le danze, coinvolgendo soprattutto i giovani. Tutto ciò per non far morire queste piccole realtà, che ormai sono prive anche di molti servizi essenziali.

Mariarosaria Di Renzo