Il Vangeloscopio.

Aprirsi alla Risurrezione

“Là lo vedrete” (mc 16,7)

L’arte è sempre oltre.

Accanto ai Vangeli, lo sforzo degli artisti, in particolare quello dei pittori, ci aiuta a capire e a scrutare fino in fondo il mistero della Risurrezione di Cristo. Esiste un capolavoro a riguardo ed è la tavola ad olio di Marco Pino, noto anche come Marco da Siena o Marco dal Pino. Si tratta della Risurrezione di Cristo (1569 – 1576) che si trova a Roma, presso la Galleria Borghese, un dipinto che non mostra il consueto Cristo trionfate, che impugna il vessillo della vittoria come un eroe di guerra, col drappo rosso sulla spalla. Il Cristo di Marco Pino ha come apoteosi la sua sola nudità. E’ a braccia aperte, così com’era sulla Croce, come se a strapparlo al sepolcro sia stato l’abbraccio del Padre. A lui innalza lo sguardo. E ogni volta che si guarda a Dio, si viene alla luce, si torna alla vita. E’ lo stesso Cristo che ritroviamo in un altro dipinto dell’autore, La Pietà, custodito presso la Chiesa di Santa Maria in Aracoeli Campidoglio a Roma. In quest’ultima opera, Maria ha anch’ella le braccia aperte, con accanto a sé Giovanni e Maria Maddalena, ma Gesù è adagiato sul suo grembo, sorretto dalle gambe della Madre, proprio come se lo stesse ri-partorendo. Nel volto di Gesù non c’è più l’atrocità del dolore. E’ come se avesse trovato riparo. Sembra riposare, come da bambino. Da queste opere esplode una luce intima e inviolata, che, forse, solo i pennelli possono narrare pienamente. La bellezza è l’anfora che contiene l’ansia dei cieli.

Nell’Amore è il superamento di tutte le paure.

E’ la Croce che ha dato stabilità alla Terra, una volta conficcata nelle viscere dell’Umanità. E’ la Croce che ci soccorre di approdi eterni. E’ la Croce che ci rivendica tutti come un tesoro che non può essere più sporcato o depredato dal male. E’ la Croce che irradia la gloria di Cristo come vastità di senso. E’ la Croce che stabilisce il potere della vita sulla morte. E’ la Croce che lava, con la fedeltà di Cristo, quel tradimento umano, che l’ha tentato fino alla fine, incitandolo a svelare Dio, non col servizio, ma col potere. E’ la Croce che spacca i recipienti colmi di presunzione e prende a suo carico il nostro grido di dolore. E’ la Croce, la grande coperta che ci rassicura nella bufera delle ostilità del mondo. E’ la Croce che rifà la strada per risalire dal baratro della disobbedienza. E’ la Croce, sì, la dimora di quanti donano la vita, invece di toglierla! E’ sempre la Croce che smaschera quanti l’hanno imposta a Cristo! Perché la Croce è la lotta contro tutte le caricature. A Pasqua non si può non sentire questo profumo di liberazione nella propria carne, guardando a Cristo, condannato da coloro che Lui, invece, è venuto a servire. Oggi, l’unica cosa da ammettere sinceramente è che forse non abbiamo imparato tanto a liberare, pur stando così accanto a Cristo. Come cristiani, in alcuni ambienti, siamo diventati come gli altri, cioè piuttosto “temibili”, più che amabili, tanto adeguati e mescolati a quella vasta geografia di agire e di pensare, dove si teme più di perdere che perdersi.

 

Il Regno di Dio non può bastare come sola intenzione!

Ogni volta che si proclama l’Exultet, la veglia di Pasqua diventa, sì, la notte più bella del mondo, dove l’arco è riposto a trionfo sopra le nubi del morire. E’ la notte in cui poter cogliere l’irripetibile dell’esistenza. Notte nella quale Cristo ci viene incontro col Suo Per Sempre. Notte che ci fa udire lo spezzarsi delle catene e delle rocce, nel soave fruscio del velo che cade a terra, come un suono ineffabile di sigillo che ora ci ricompone dentro i fardelli insostenibili senza Cristo. In questa Notte le apparenze che non contano più. I gonfaloni della violenza si possono ammucchiare nell’ombra. I cerimoniali degli ipocriti vestiti di sopruso sono ormai smantellati. Le solitudini ora diventano comunioni. Il vuoto trabocca in tabernacoli di stupore. E’ la Notte uterina, che, come un ventre fremente, partorisce il Risorto come Colui che deve venire (cfr Mt 3,11) in ogni morte, per liberarci definitivamente da essa, dalla sua ingiustizia. Perché morire è ingiusto, in quanto Dio ci ha creati per la vita! E dobbiamo piangere ed opporci ad essa, quando ci strappa chi amiamo o a chi amiamo! Notte che è la nostra vera Terra promessa. E’ l’unica notte in cui acqua e fuoco coesistono e si fondono in un’unica beatitudine, proprio come ci narra la liturgia. La fiamma che arde della luce di Cristo e l’acqua sacramentale che disseta le croci che ci portiamo dentro. E’ la notte che fa tornare in vita quelli che abbiamo amato, nell’inno dell’ecce venio: ecco vengo! Ti raggiungo. Ti riabbraccio! Rimango qui per te! E’ l’operosità del Pane della Vita che squarcia il velo del Tempio e trasfigura la Storia in un intreccio cosmico. Non smettiamo di cercarci! Chi ama è già nel Regno di Dio.

La vita va guardata da dentro quel sepolcro aperto sull’eternità.

Non è qui il Maestro Gesù, dove gli uccisori pensavano di averlo rinchiuso e fatto tacere per sempre. Non è qui, dove lo avevano rinchiuso, credendo di avere il potere su di Lui. Non è qui, dove la caligine del complotto ha flagellato Gesù per divertimento.

In questo soffio di nostalgia che ci visita al tramonto, ci sembra di correre come le donne. Che bello quando alzano lo sguardo e si accorgono che è tutto cambiato, perché la pietra, che bloccava l’ingresso al sepolcro, è rotolata via, per sempre. Qui, nel Vangelo di Marco, inizia una sequenza straordinaria, di parole e silenzi, di volti che s’illuminano, di occhi che cercano nel mistero più impenetrabile. Di turbamento che dilata gli stessi palpiti. Entrano nel sepolcro. Vedono un giovane. Hanno paura. Sono tre verbi che ci riconsegnano tutti al rischio della Risurrezione. Entrano, perché erano andate, come da tradizione, ad ungere il corpo di Gesù con oli aromatici. La Parola è compiuta e ora urge il passo su quel confine dove l’aldilà e l’aldiqua si baciano nel respiro di Colui che è tra i vivi e non più tra i morti. Vedono, perché ascoltano il giovane con la veste bianca e quella voce desta in loro un sentimento di novità ultima. Hanno paura, perché sentono che è un privilegio immane questo di partecipare la fine della morte e di non poterlo subito testimoniare, come inviate amate, scelte dal Risorto in persona. La loro condizione, a quei tempi, glielo impediva. E scappano, impaurite e colme di stupore. Solo una di loro trova il coraggio di tornare al sepolcro scavato nella roccia, da sola, nel cuore della notte, come ci dirà poi, dettagliatamente, il Vangelo di Giovanni. E’ colei che aveva osservato bene dove avevano deposto Gesù (cfr Mc 15,47). La prima alla quale Gesù appare da Risorto: Maria Maddalena. Lì dove più si ama, lì è vera perenne risurrezione.

Ylenia Fiorenza