Un racconto di vita tra lavoro in fabbrica, previdenza e riflessioni sul sistema sociale tedesco: quando le scelte personali e le politiche del welfare si intrecciano, le conseguenze arrivanofino alla fase più matura della vita
Sono tante le storie dell’emigrazione italiana in Germania e spesso, ripensando con lo sguardo rivolto al passato, resto sorpreso constatando come i cambiamenti possano condizionare la vita e le scelte di tantissime persone. Persone che al tempo dovuto non hanno pesato bene le conseguenze dei loro comportamenti o delle mutate condizioni nel mercato del lavoro e delle modifiche intervenute nel sistema di sicurezza sociale tedesco.
Quanti errori di scelta, di comodo o di valutazioni errate si fanno credendo che le cose resteranno per sempre immutabili. Ma prima o poi i nodi vengono al pettine.
Ho iniziato nel 1971 a lavorare in fabbrica, alla Opel, e ci sono rimasto 40 anni. Raggiunta l’età di 60 anni ho colto le possibilità offerte dalla legge e sono uscito dal mercato del lavoro pensionandomi. Assieme alla pensione aziendale percepivo complessivamente 1.700 euro. Se avessi smesso di lavorare a 67 anni, avrei percepito 2.200 euro in totale. E invece, essendomi prepensionato a 60 anni, il sistema mi ha tagliato 18 punti percentuali. Occorre sottolineare che 7 anni di differenza rispetto alla soglia di 67 anni sono tanti. Al cospetto del taglio, ho avuto più tempo per me stesso, sono stato più a casa e ho fatto su e giù tra Germania e Italia, in particolare in Molise, e ho dedicato più cure alla mia salute. Sono contento e felice. Domanda: come puoi criticare un sistema sociale del genere? I contributi pensionistici sono versati senza impicci in parti uguali, dal datore di lavoro il 50% e dal lavoratore il restante 50%.
Un mio conoscente oggi ha una pensione di 650 euro mensili, anche se vive in Germania dal 1970. Ma cosa faceva questo signore negli anni d’oro dell’economia tedesca, gli anni Settanta? Cambiava lavoro ogni sei mesi, cioè lavorava 6 mesi e poi andava in disoccupazione per altri 6 mesi. Diceva: “mi godo la vita”.
La storia è andata avanti così fino agli anni Novanta; era nel pieno delle sue energie, eppure cambiava continuamente posto di lavoro.
Verso la soglia dei cinquant’anni ha cominciato ad avere problemi di salute. Nel frattempo, il mercato del lavoro scricchiolante era corso ai ripari, cioè, a dirla con chiarezza, furono introdotte correzioni molto discusse e contrastate, i cosiddetti Mini Job, una forma di lavoro marginale introdotta con le riforme Hartz nei primi anni 2000 (governo Schröder) per arginare le richieste di sussidi sociali.
I “Mini Job” (in tedesco Minijobs) sono una forma di impiego piuttosto diffusa in Germania.
Si tratta di lavori a tempo parziale con un limite massimo di guadagno mensile (attualmente 538 € al mese dal 2024, prima erano 520 €), pensati per studenti, pensionati o persone che vogliono integrare il reddito senza entrare nel sistema contributivo completo.
Allora, nel 2000, il modello sociale tedesco cercava un equilibrio tra sicurezza e responsabilità individuale, ma i Mini Job mostrano il lato più flessibile e precario di questo equilibrio, e in ogni caso hanno contribuito ad aumentare la povertà.
Summa summarum, questo nostro connazionale è precipitato in una zona pericolosa: oggi vive in povertà, un fenomeno che negli ultimi anni si sta aggravando notevolmente e si sta diffondendo in tutti i Paesi dell’area UE. E tuttavia mi chiedo: di chi è la colpa per il dramma che sta vivendo il mio connazionale? Il mio caro amico diceva spesso scanzonatamente: “chissà se arrivo a 60 anni”. Oggi, invece, si lamenta e critica il sistema a fronte della grama pensione che percepisce.
Chi ha un posto di lavoro se lo deve tenere stretto e soprattutto pensare all’età post-pensione e pianificare la realtà che verrà. Chi si sentiva furbo, approfittando a piene mani del sistema sociale, oggi vive in povertà e stenta a pagare le bollette e a condurre una vita dignitosa.
Senza dimenticare che nel nostro stato sociale vige il principio di solidarietà: chi lavora versa i contributi per sé stesso e per assicurare la rendita a coloro che già godono la pensione. Chi un tempo speculava o tuttora specula con il sussidio sociale e si accontenta di un Mini Job, e magari lavora in nero, all’età pensionabile di 67 anni percepisce una miseria e la caduta in povertà è la tragica conseguenza.

Giovanni Baranelli è nato a Colletorto ed è emigrato in Germania nel 1971.
Per molti anni è stato animatore e riferimento della comunità italiana residente a Gross-Gerau, una grossa città tedesca alle porte di Francoforte.



