
Ottobre è, per la Chiesa universale, il mese tradizionalmente dedicato alla missione. È un tempo speciale in cui i fedeli sono chiamati a riscoprire il senso profondo dell’essere discepoli missionari, nella preghiera, nella carità e nella testimonianza del Vangelo. La missione, infatti, non è solo un’attività riservata a pochi, ma il cuore pulsante della vita cristiana: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15).
In questo spirito, la nostra comunità si è preparata a vivere con intensità la Giornata Missionaria Mondiale celebrata domenica 19 ottobre 2025. Quest’anno il tema proposto da Papa Francesco è: “Missionari di speranza tra le genti”, un invito a lasciarsi infiammare dall’amore di Cristo per portare il Vangelo fino ai confini della terra.
La Chiesa che il Signore chiama da sempre e per sempre a seguirlo non è una realtà statica, chiusa in se stessa o confinata nelle sue strutture. Questa immagine della Chiesa ci ricorda che la fede non è mai un bene da custodire gelosamente, ma un dono da condividere, un invito a vivere la speranza in mezzo alla storia degli uomini e delle donne del nostro tempo.
Seguire Cristo oggi significa dunque andare incontro all’uomo concreto, con le sue fragilità, le sue paure e le sue speranze. Una Chiesa in cammino è una Chiesa che sa sporcarsi le mani, che ascolta, che si fa prossima. In un mondo che corre il rischio di diventare efficiente ma disumano, la Chiesa è chiamata ad essere profetica: non per condannare, ma per annunciare e testimoniare una via di amore, di comunione e di vita vera. In questa ottica, noi tutti siamo chiamati ad essere testimoni di quella Speranza che non delude e, al contempo, artigiani di speranza e restauratori dell’umanità smarrita e delusa.
La vera speranza, ci esorta Papa Francesco, nasce dalla preghiera: è nella preghiera che si rinnova la fiducia in Dio, con e nella preghiera si attinge forza per resistere alle prove e riuscire a guardare il futuro con occhi nuovi.
La missione della speranza non è dunque per pochi, ma è una chiamata per tutti. Ogni cristiano può e deve farsi strumento di speranza, diventando segno vivente della misericordia di Dio in mezzo a un mondo che spesso ha sete di Dio senza saperlo.
Per prepararci spiritualmente alla Giornata Missionaria Mondiale, venerdì 18 ottobre si è tenuta nella cattedrale di Campobasso un’adorazione eucaristica missionaria, un momento forte di raccoglimento e preghiera comunitaria davanti al Santissimo Sacramento.
L’incontro si è aperto con la commovente testimonianza di Mago Salem, Nicola Bitri, che da anni si fa missionario del Vangelo attraverso le sue magie. Ha raccontato delle sue missioni in terre difficili, dalla guerra in Ucraina, presso la città di Odessa, alle baraccopoli della Romania, ai luoghi del terremoto in centro Italia, luoghi di periferia, luoghi di sofferenza ma non privi della Speranza che non delude. Ha esortato tutti a farsi missionari, ognuno con le proprie caratteristiche e proprie attitudini. La testimonianza è stata un balsamo in questi tempi difficili, una presenza viva dello Spirito che ci chiama tutti ad essere testimoni del Vangelo.
Durante l’adorazione, si è pregato in particolare per tutti i missionari e le missionarie nel mondo, spesso in prima linea in contesti difficili e pericolosi, per la pace tra i popoli e per una Chiesa sempre più aperta, accogliente e solidale. L’adorazione è stata anche l’occasione per riflettere sul nostro personale impegno missionario, qui dove viviamo: in famiglia, sul lavoro, nella comunità, nel quotidiano.
Le conclusioni di Monsignor Colaianni sono state un accorato invito alla preghiera, perché essere missionari vuol dire innanzitutto essere donne e uomini di preghiera. Una preghiera intensa e continua, perseverante e costante, perché così come il missionario non va in terra di missione per un periodo, bensì per il tempo necessario — che possono essere mesi, anni o tutta la vita — così noi dobbiamo vivere una vita di preghiera e di condivisione con il mondo intero. La preghiera è affidamento a Dio che assiste, ascolta ed è particolarmente vicino al povero che grida e che anela giustizia e pace.
Buon cammino missionario!
LA MISSIONE È IL RESPIRO DELLA CHIESA
Intervista al direttore della Pastorale Missionaria Don Adriano Cifelli
La Giornata Missionaria Mondiale ci invita ad essere «missionari di speranza tra le genti». Cosa significa davvero portare speranza oggi, in un tempo segnato da guerre, solitudini e paure?
Essere oggi missionari di speranza significa, a mio avviso, intanto saper cogliere le difficoltà che l’umanità vive, farci prossimi.
Prima delle risposte vengono le domande, che spesso non si colgono. Bisogna sapersi fare prossimi, come Gesù ci indica nella parabola del Samaritano, che potrebbe esserne l’icona. Come ci ricorda il Papa nel messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, avere particolare attenzione ai più poveri e deboli, ai malati, agli anziani, agli esclusi dalla società materialista e consumistica. A farlo con lo stile di Dio: con vicinanza, compassione e tenerezza, curando la relazione personale con i fratelli e le sorelle nella loro concreta situazione.
Come animatore della pastorale missionaria, come legge l’urgenza della missione nel nostro tempo? Non siamo forse tutti un po’ tentati di chiuderci nel nostro piccolo?
La missione, essendo l’anima della Chiesa stessa, non può mai venire meno, come il respiro. È proprio l’attitudine di restare aperti al soffio dello Spirito, che soffia nella Chiesa e nel mondo, che ci permette di vivere costruendo il Regno in ogni latitudine in cui ci troviamo. È una risposta che diamo a Chi sempre ci chiama. Le chiusure nascono dalle paure. Ma se c’è lo Spirito, non può esserci paura o chiusura, ma solo fiducia.
Spesso pensiamo alla missione come azione, cammino, annuncio. Che legame c’è tra adorazione e missione?
Senza preghiera, senza ascolto della Parola, senza interiorità che si fa spazio per il divino, non può esserci vera missione. Al massimo si farebbe altro, seppur buono, ma non missione. È come rinnestarci sempre nella radice del nostro essere cristiani e testimoni. È un tornare sempre alla sorgente, per non ritrovarsi sfiduciati, stanchi e persi, come spesso accadeva anche ai discepoli di Gesù. L’invito era sempre: restare in preghiera, con Lui, e poi andare.
Il Papa ha ricordato che ogni gesto di sostegno – preghiera, offerta, presenza – costruisce scuole, ospedali, comunità. A volte sembra poco. E invece, che potere ha un gesto semplice fatto con fede?
L’importante non è mai il “quanto” si dà, seppur importante. Ma il come. Ricordo sempre l’episodio narrato nel Vangelo della povera vedova che porta il suo obolo al tempio. Non ha, ma dà, perché si fida. La logica del Vangelo è quella della moltiplicazione. Datemi i cinque pani e due pesci, il poco che avete – dice Gesù. Il resto lo fa Lui. Dobbiamo mettere sempre in circolo l’amore. Restare in quella dimensione dove l’altro, mio fratello, non mi è mai estraneo. E io posso fare qualcosa, anche se piccolo. Anche solo dare voce, manifestare, come sta accadendo in questi giorni a favore dei poveri palestinesi di Gaza.
Ci può raccontare un episodio vissuto in missione in cui ha visto la speranza nascere davvero, anche nelle condizioni più difficili?
Nelle mie brevissime e intense esperienze, in Albania e poi in Congo, ho sperimentato proprio ciò che dicevo a proposito della fiducia e della speranza di chi ha poco, ma dà. Due episodi simili, di donne che nelle loro semplicissime e umili case o capanne ci hanno accolti, dandoci ciò che avevano per accoglierci.Ti si apre il cuore perché capisci che la speranza risiede nella bellezza e semplicità di questi piccoli gesti, al contempo molto profondi. La vera ricchezza è là.
Quando parliamo di missione, pensiamo subito a terre lontane. Ma la missione è anche qui, nelle nostre famiglie, scuole, parrocchie. Come aiutare la comunità a vivere questa «missionarietà quotidiana»?
Praticando l’ascolto, innanzitutto di noi stessi, e poi di ciò che ci circonda, per “dare sempre ragione della speranza che è in noi”, come dice Pietro nella sua lettera. Missionari di preghiera, come ci ha invitati ad essere il Vescovo nell’adorazione in preparazione alla Giornata Missionaria Mondiale. Pregare incessantemente, non moltiplicando preghiere o facendo attenzione solo al dove e al come, ma alla fiducia che ci fa dire che Lui, l’Amico, Gesù, è sempre con noi, come ci ha promesso, e che nulla di ciò che viviamo gli è alieno.
La missione, per molti, è ancora «roba da preti e suore». Ma (Papa Francesco) il Concilio ci dice che è legata al Battesimo. Come risvegliare questo senso della vocazione in ogni battezzato?
Riscoprendo appunto il Battesimo, il nostro essere cristiani. Non devoti o brave persone, ma cristiani, cioè coloro che seguono le orme del Maestro, e provano con Lui a costruire il Regno e a vivere innanzitutto pienamente la propria umanità.
Che tipo di Chiesa sogna per il futuro? Una Chiesa sempre più missionaria, aperta, in uscita… cosa significa per lei concretamente?
Come già detto, sogno di riuscire ad essere e a dare il mio contributo per una Chiesa che non si vive come un potere accanto ad altri, ma come un piccolo segno di speranza, un seme nella faticosa terra che però darà frutto, una piccola flottiglia che attraversa le avversità restando fedele al messaggio e alla sua missione. E non una nave da crociera che offre tanti comfort.
Un invito finale: perché non possiamo restare indifferenti davanti a questa Giornata Missionaria Mondiale? Cosa ci giochiamo, come comunità, in questo appuntamento?
Ci giochiamo il nostro stesso essere comunità cristiana. Spesso l’attenzione è più a come preservare certe tradizioni, riti, cose che possono mutare, non sono l’essenziale. La missione lo è. E proprio l’attenzione alle Chiese giovani, sparse nei Paesi più poveri, ci restituisce quella carica e quell’entusiasmo che loro hanno e che noi invece stiamo smarrendo.
Luigi Malvatani



