EDITORIALE

LA MISSIONE CI POSSIEDE

Il mese di ottobre riporta all’attenzione il tema, più che mai attuale, della missione della Chiesa nel mondo.  La spinta a toccare le ferite dell’Umanità nasce dall’impegno a “non passare oltre”, facendo sì che i valori del Vangelo maturino piuttosto con efficacia storica.

Lo scopo della missione è tutto da ricercare nel legame che la Chiesa ha con Cristo, nella consapevolezza che è l’agire dello Spirito che offre ad essa la prospettiva di come e di dove portare questa linfa. Per questo il Concilio ha rimesso al centro la columna veritatis: l’elemento costitutivo della Chiesa è proprio questo amore che ha la forza di raggiungere. È missionario chi si fa compagno di strada di quanti, per un motivo o per un altro, non riescono a tenere il passo e rimangono indietro. E questo deve partire dalle nostre comunità parrocchiali, perché, quando anche una sola famiglia è colpita da un dolore o da un dramma di tipo economico, tutta la comunità è responsabile ed interpellata. A nessuno manchi il necessario! E se dovesse mancare, diversi e possibili sono i modi per intervenire e provvedere. Solo allora possiamo veramente dire che la missione è l’essenza e il fine dell’esistere della Chiesa, ossia la sua credibilità.

Senza missione non c’è Chiesa!

Ogni volta che questo Amore di Dio è annunciato e testimoniato, si adempie il mandato universale della comunità cristiana nelle molteplici situazioni e implicazioni storiche. La Chiesa è l’Inviata alle genti. La comunità credente non si limita ad annunciare il regno di Dio, ma fa di tutto perché questo regno di giustizia e si speranza sia stabilito sulla terra, nel cuore di tutto il genere umano.

È tempo di considerare questo, specie esaminando il rapporto Istat 2025, appena diffuso, che ci rivela il dramma di 5,7 milioni di italiani che vivono in povertà assoluta. Un dato in crescita, che corrisponde al 9,8% della nostra popolazione.

La povertà è sempre generata dall’indifferenza. È figlia delle avidità di “un paradigma politico aspro, fondato sul profitto più che sulla dignità umana”, come ha denunciato Papa Leone, nel suo intervento alla sede della Fao, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione e della Celebrazione dell’80° Anniversario della fondazione dell’Organizzazione. Il Pontefice nel suo discorso ha circostanziato e dettato tre precise linee programmatiche, sperando che tutte le organizzazioni internazionali le abbiano intese per farle proprie. Per prima cosa ha detto che “non possiamo limitarci a proclamare valori, ma dobbiamo incarnarli”. Successivamente si è soffermato sull’urgenza di “riesaminare i nostri stili di vita, le nostre priorità e il nostro modo di vivere nel mondo di oggi in generale”. E infine, con tono univoco, ha definito imprescindibile “costruire una visione che faccia sì che ogni attore della scena internazionale possa rispondere con maggiore efficacia e tempestività ai bisogni reali di coloro che siamo chiamati a servire attraverso il nostro impegno quotidiano”. Su questa strada occorre che tutti, in ogni ambito, progrediamo, tralasciando vaghezze e ambiguità. Significativa è stata a riguardo la riflessione profonda offerta dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella sua dichiarazione, in occasione dell’incontro con Sua Santità Leone XIV, in visita ufficiale al Palazzo del Quirinale: “Vecchie e nuove povertà – ha detto il Presidente – si contrappongono nel mondo a ricchezze sempre più smisurate”. Di grande importanza è l’alleanza tra Chiesa Cattolica e Stato italiano, perché solo insieme si accrescere la cultura del bene comune.

Sullo sfondo abbiamo l’esempio di san Francesco. Sfogliando la Vita Prima composta dal Beato Tommaso da Celano, suo primo biografo, troviamo riportato un particolare straordinario del Poverello d’Assisi: «Suo porto sicuro era la preghiera non di qualche minuto, o vuota, o pretenziosa, ma profondamente devota, umile e prolungata il più possibile. Se la iniziava la sera, a stento riusciva a staccarsene il mattino. Era sempre intento alla preghiera, quando camminava e quando sedeva, quando mangiava e quando beveva. Di notte si recava, solo, nelle chiese abbandonate e sperdute a pregare» (I Cel., n. 71). Un aspetto che, nella Vita Seconda, il Celano lo riporta rivelando più particolari riguardo il modo di pregare di san Francesco: «Cercava sempre un luogo appartato, dove potersi unire non solo con lo spirito, ma con le singole membra, al suo Dio. E se all’improvviso si sentiva visitato dal Signore, per non rimanere senza cella, se ne faceva una piccola col mantello. E se a volte era privo di questo, ricopriva il volto con la manica, per non svelare la manna nascosta.

Sempre frapponeva fra sé e gli astanti qualcosa, perché non si accorgessero del contatto dello sposo: così poteva pregare non visto anche se stipato tra mille, come nel cantuccio di una nave.

Infine, se non gli era possibile niente di tutto questo, faceva un tempio del suo petto. Assorto in Dio e dimentico di se stesso, non gemeva né tossiva, era senza affanno il suo respiro e scompariva ogni altro segno esteriore» (II Cel., n. 94).

Come attesta questo frammento eminentissimo della vita del Santo patrono d’Italia, l’amore, nella visione cristiana, possiede in pieno il senso d’orientamento. La resistenza a questo porta inevitabilmente a quello che è richiamato più volte nella prima recentissima esortazione apostolica sull’Amore verso i poveri, a firma di Papa Leone, la Dilexit Te. Nel capitolo inziale, al n.10, troviamo scritto infatti che: “le società in cui viviamo spesso privilegiano criteri di orientamento dell’esistenza e della politica segnati da numerose disuguaglianze e, perciò, a vecchie povertà di cui abbiamo preso coscienza e che si tenta di contrastare, se ne aggiungono di nuove, talvolta più sottili e pericolose”.

L’orientamento che ci ha lasciato il Maestro Gesù è “andare verso l’altro”, mentre quello del mondo è “andare contro l’altro”.

Due polarità inconciliabili. Una che profuma di vita. L’altra che produce distruzione.

Ylenia Fiorenza