Ci ha lasciati proprio il “giorno di Pasqua”, quel grande giorno, che la Chiesa chiama unico giorno di Pasqua, dove si concentra tutta la forza della nostra fede cristiana. Ha voluto così ravvivare la nostra Speranza, parola chiave e cuore pulsante del Giubileo, indetto proprio da papa Francesco, raccolto attorno allo slogan paolino: “Spes non confundit” (Romani 5,5). Tutta la Lettera di Paolo ai Romani vi è valorizzata. Paolo la scrisse pensando alla Chiesa di Roma, nel 58, mentre il mondo era avvolto dalle tenebre del male, ma era anche in grande attesa della salvezza del Risorto, come luce che ne squarcia le tenebre e vi porta futuro e vita nuova.
Paolo parla chiaro in questa sua lettera; quasi si confessa, quando dice: “sento nel mio corpo una spina di dolore, perché io faccio il male che non voglio, mentre non faccio il bene che voglio (Rom. 7,18-19). E’ forse la frase più triste della intera Bibbia. Di certo, narra con realismo la nostra fragilità creaturale, per descrivere con chiarezza anche il nostro tempo, perché ogni tempo è intessuto di fragilità e di speranza. Anche noi, in questi giorni, sentiamo la pesantezza di tenebra del corpo di morte, in cui siamo avvolti. Ma proprio da esso papa Francesco ha cercato di tirarci fuori (guerre, egoismi, scarto sociale, muri innalzati…), per poter poi esplodere nel grido di vittoria della Pasqua, della Chiesa davanti al feretro del papa, nelle partecipatissime sue esequie: “Chi mi separerà dall’Amore di Cristo Gesù? Forse la tribolazione, l’angoscia, il pericolo, la spada? Perché in tutte queste cose noi siamo più che vincitori, grazie a Colui che ci ha amati…nessuno ci potrà mai separare dall’Amore di Cristo Gesù, nostro Signore!”. (Rom. 8, 35-38).
Così proprio la forte riflessione sulla Speranza, che il Giubileo ci ha chiesto, la vediamo ora attualizzata nel mistero della morte di papa Francesco, specie nel suo feretro portato lungo le strade di Roma, in un funerale che è stato un inno alla vita ed una festa di vivissima speranza, con le rose bianche nelle mani e le lacrime di vita del popolo romano. Una speranza che si è fatta dialogo serrato ai piedi dell’altare, nello scenario più eloquente della storia, mentre parlavano finalmente in fraternità i due capi di stato, Trump e Zelenski. E’ stato veramente il primo miracolo di papa Francesco! Moriva dunque proprio mentre la liturgia, nella prima mattina del lunedì dell’Angelo, il 21 aprile, proclamava il grande annunzio: “Non abbiate paura. So che cercate Gesù il Crocifisso. NON E’ QUI. E’ RISORTO!” (Matteo 28,5-6).
IL SUO MESSAGGIO
Studiare il magistero sociale di papa Francesco è stato per me una fonte perenne di crescita spirituale e pastorale. Luce e guida, in gradini crescenti: Lumen fidei (2013), Evangelii Gaudium (2013), Laudato Si (2015), Fratelli tutti (2020) ed ora la Dilexit nos!”. Nello studio attento, sento che vi è come un filo rosso che le unisce tutte, una linea di speranza pasquale. E’ il passaggio da due parolette decisive, opposte. Da una parte, la parola Senza, che ben descrive il buio della storia, a cui il papa contrappone la paroletta Con, per indicare la strada della vita. Così le quattro encicliche sociali hanno, in certo senso, un unico schema unitario, da stamparsi bene sulla lavagna o sui cartelloni didattici. In questo, possiamo dire che il papa resta profondamente “un metodico gesuita”, come mi hanno insegnato i miei docenti di storia della Chiesa, alla Gregoriana.
Così sento il suo insegnamento: il mondo perisce se resta nell’ottica della paroletta senza, cioè l’egoismo. Senza Dio lasciando il mondo senza luce; senza cura per il creato costruendo un deserto, senza amore e senza vita; senza il fratello, passando vicino al fratello ferito, ma senza fermarsi, come fa il sacerdote ed il levita; senza cuore, creando un mondo di indifferenza. L’analisi conseguente è durissima, nella voce del papa. Basti scorrere l’indice della “Fratelli tutti”, al capitolo primo, che resta sempre il capitolo della lettura basilare della storia contemporanea “Viviamo senza un progetto per tutti, senza una rotta comune, senza dignità alle frontiere, senza pudore nella comunicazione, senza saggezza nel dialogo e senza speranza”!.
A questa lucida constatazione del senza, il papa oppone la forza profetica del Con, cioè la forza della risurrezione e della vita: Con Dio che riempie di luce, con la cura per la casa comune del creato, con il fratello soccorso e integrato per un mondo di fraternità; con lo spazio al cuore, per un sogno di giustizia e di calore umano, che avvolga tutti noi.
Poi, capitolo per capitolo, nei suoi testi possiamo scorgere che le quattro encicliche sono conseguenziali.
Il capitolo secondo è sempre basato sulla Bibbia, in una riflessione esegetica accurata e fondativa; il terzo affronta la sfida teologica sui valori escatologici; nel quarto si entra nel tema storico del bene comune; il quinto si apre all’aspetto politico, in dimensione pastorale; il sesto, nelle conclusioni, affronta l’aspetto educativo, con lo sguardo alle nuove generazioni.
Francesco è stato così un grande maestro. Un vero educatore, molto più metodico di quanto possa apparire, in superficie. Ha colto il disagio dell’umanità odierna e l’ha descritta nella sua tremenda solitudine, avvolta da una cultura che tende a fare senza l’altro, senza il gusto della vita o la gioia della prossimità. Sullo sfondo, lo sguardo di Dante sul diavolo: è rinchiuso in una lastra di ghiaccio, freddo e gelido, perché solo. Questo è il rischio del mondo odierno: restare soli, restare all’inferno senza l’altro e non in paradiso, con l’altro. La fede cristiana è invece incontro, è inclusione, è ponte per chi non riesce ad attraversare il fiume, è una politica “migliore” perché autenticamente popolare (e non populista!), è una cultura capace di generare un mondo aperto che integra tutti, che va oltre un mono di soci per creare invece una tavola di fratelli, ricuperando la gentilezza.
Ed è con quelle sue parole sulla gentilezza che mi piace concludere questo mio editoriale su di lui: “la gentilezza presuppone stima e rispetto, per farsi cultura in una società dove la gentilezza trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e confrontare e idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti” ( F.T. n.224).
Come non vederci espressa la scena, speranza di primavera, dei due politici in dialogo, ai piedi dell’altare, a san Pietro. Quanta diversità, allora, rispetto all’altra scena che abbiamo visto, amaramente, vissuta invece nel duro scontro vissuto nella stanza ovale della Casa Bianca!
Grazie, allora, papa Francesco, per tutto. Ci sei stato Padre e Maestro, amico dei poveri, vicino al Creato amato e custodito, in una umanità vivacizzata dalla fraternità, ogni giorno nuova, nella luce del Cristo Risorto, fatto Vita per tutti noi.
Amen.
+ padre GianCarlo Bregantini, Vescovo emerito