VANGELOSCOPIO

“SONO PROPRIO IO!”. (Lc 24,39)

Abbiamo sete di Dio. E’ questa sete che ritma il nostro vivere e non cessa di issare in noi il gemito del cielo. Quel gemito che ha fatto correre la Maddalena, quando ancora era buio, alla tomba di Gesù. Come portata per mano dal bisogno di ritrovare il Vivente. Dobbiamo essere assetati come lei, per far nascere in noi quell’oltre la morte che a Pasqua riabbracciamo, dopo tante lacrime. Davanti al sepolcro vuoto, come non sentire singhiozzi di immensità, di libertà! Come non capire che anche il Risorto ha sete di noi!

Davanti ad una Umanità lacerata dalla guerra, perseguitata dagli “assetati di morte”, come cristiani dobbiamo fermamente immolarci a questa sete di Risurrezione! E divorati dalla sete di questa vita che non muore, essere presenti a noi stessi, dando un nome alla sete che è nel nostro profondo. Perché la vita è una ferita aperta d’amore assetato! E’ quella luce che irrompe dagli abissi del Tutto è compiuto. E non si tratta di una conquista di massa, bensì di una conquista personale. Cioè voluta, scelta, dentro e più in là della Croce. Come ci ha mostrato Gesù.

Quando riposiamo nella sete del Risorto, è necessario poi chiederci cosa significa vivere da Risorti.  Anzitutto questo porta ad una vera consegna a Colui che ci libera dalla paura, all’unico Maestro, che dal dolore ha gridato la Sua sete, facendola culminare per noi nella beatitudine degli assetati di giustizia, di amore, di pace, di unità. E soprattutto è scoprire che la sete è il fondamento di tutto l’Amore che scende negli inferi a spezzare le catene mortali del male, e rotola via, tutte le volte, il macigno delle tenebre per riportarci in vita.

Nel racconto che fa Luca al cap. 24 emergono tre cose straordinarie, ben strutturate: l’identità del Crocifisso Risorto, i gesti compiuti e richiesti dal Risorto, la Parola che irradia l’intelligenza dei discepoli.

La sera di Pasqua, Gesù appare, infatti, in mezzo ai discepoli e come primo atto d’amore allontana subito il loro turbamento, i loro dubbi, mostrandosi in carne ed ossa, chiedendo loro di sentire il calore del suo corpo, perché il verbo usato dall’evangelista è proprio pselapháo, che è composto da psállo, che significa vibrare e aptomái, che vuol dire stringere. “Toccatemi e guardate” sono i due imperativi della fede esplicitati, per essere un tutt’uno con Lui. Perché Gesù è rimasto con noi e di questo vivere per sempre noi cristiani siamo testimoni. La Sua carne abbracciata è la nuova terra dentro i cieli nuovi.

Sete di Risurrezione e visione del Risorto sono un’unica realtà salvifica e perciò diventano in noi la potenza dall’alto, ossia quella vita eterna e beata, destinata a tutti noi in Cristo, già qui e ora. I tanti segni fatti da Lui ci coinvolgono a fare di tutto affinché questo incontro avvenga nella trama dell’esistenza, tutti i giorni. Seduti con Lui, alla mensa della vita che vince. Nella gioia di chi non si stanca di credere e con cuore ardente annuncia che è veramente Risorto.

Ylenia Fiorenza