LA RIFLESSIONE

LA LEZIONE DELLA STORIA SULLA CRONACA

Ora che si profila l’ennesimo rischio di conflitto in Medio Oriente, potremo una volta di più pentirci di avere gioito nel 1979 al successo della rivoluzione islamica contro lo Scià. Ricordo di essere entrato in classe, in un istituto superiore del capoluogo, con La Repubblica sotto braccio, come molti in quei tempi, inconsapevoli di certi disegni editoriali, manifestando ai miei studenti la soddisfazione per l’evento. Uno di loro, un allievo di Bojano, mi disse di temere per i poveri iraniani in mano a Khomeini. L’ho incontrato venti anni dopo e gli ho detto che aveva ragione.

Da allora ho sempre diffidato del rovesciamento dei cosiddetti regimi dittatoriali in quell’area. Non ho gioito per l’eliminazione di Saddam, non per quella di Gheddafi, non per la più recente di Assad in Siria, l’unico sfuggito alla caccia rifugiandosi nella Russia di Putin.

In questo ennesimo difficile momento, purtroppo dobbiamo lamentare ancora una volta l’altro errore compiuto dalle superpotenze vincitrici del secondo conflitto mondiale nel 1948, facendo atterrare uno Stato israeliano nella regione occupata per quasi duemila anni dai palestinesi. Una di queste nazioni protagoniste della infelice decisione delle Nazioni Unite non aveva nemmeno il pudore conseguente al lancio dell’atomica sugli impotenti abitanti di Hiroshima e Nagasaki soltanto due anni prima.

Il risultato è che oggi, dopo la provocazione del 7 ottobre da parte dei terroristi di Hamas, il governo legittimamente eletto di Israele, dopo avere vendicato quella operazione con una tragica carneficina giustificata dal tentativo di azzerare la stessa Hamas, che usava i suoi connazionali come scudi umani, il governo israeliano, dicevamo, guidato purtroppo dal militarista Netanyahu, preoccupato per di più dalle inchieste sollevate contro di lui, ha pensato bene di attaccare le centrali dell’Iran, per i forti sospetti che nascondano la preparazione di armi nucleari, allo scopo di renderle inoffensive per tempo.

Tutti poi ricordiamo le accuse statunitensi mosse a Saddam a proposito delle sue armi chimiche, dimostratesi infondate solo dopo che una guerra, suscitata da quelle stesse supposizioni, lo rovesciasse e lo condannasse a morte. Naturalmente, questo non sarà il caso di cui stiamo parlando, per cui comunque il tempo stabilirà la verità.

Ovvio che la nostra società libera e garantista non riesce a provare simpatia per un regime che nega diritti alle donne e al dissenso, ma questo è già inquietante da quando attivisti di ogni genere difendono la causa palestinese ignorando il problema delle donne. E questo vale anche per la nostra informazione internazionale, sempre miope, vile e appiattita, come dimostrano gli esempi precedenti, già altrimenti responsabile del processo che ha provocato l’operazione militare di Putin in Ucraina, come in passato da noi sottolineato.

Adesso la strada sarebbe quella della diplomazia, respingendo l’illusione di ridurre all’impotenza l’Iran, ma dubitiamo che il contesto, incapace di risultati in questo senso a Gaza e in Ucraina, possa finalmente operare per la pace come auspicato da tutti coloro che sono dotati di ragione.

Il caso della Siria, ignorato da tutti, è emblematico. Abbiamo inneggiato al dissenso interno contro Assad, monarca mai minaccioso con l’Occidente, ignorando che era fomentato da frange islamiste simili a quelle che hanno infestato il mondo con atti di terrorismo e sgozzamenti dei cosiddetti infedeli, e funestato la loro terra con la sottomissione delle loro donne alla schiavitù sociale. E Assad, come nessuno o quasi aveva segnalato, ha proprio frenato e forse arrestato l’ISIS. Questo si dovrebbe ricordare a quegli europei arruolati sul web che sono partiti per difendere la libertà dal tiranno in quella terra lontana e a noi sconosciuta per molti aspetti. Anche il nuovo regime siriano è atteso a dare prove di un miglioramento molto dubbio per quello che temiamo.

Precisiamo tutto questo sempre per far sentire una voce non allineata e non servile a un inutile democraticismo, in una situazione che ogni giorno ci presenta le conseguenze pericolose della miope visione secondo cui dobbiamo esportare democrazia dove non esiste per ragioni millenarie, sulle quali invece dovremmo appuntare la nostra attenzione.

La cosa migliore sarebbe perfezionare il confronto, far penetrare altri modelli di vita per aggiornare la mentalità di quei popoli, più che ostinarci a intervenire direttamente sui regimi.

L’esempio, pur ambiguo, del Qatar è promettente in questo senso. Organizzando competizioni sportive di forte richiamo, ha progressivamente consentito alle donne di uscire dall’isolamento. E l’Arabia Saudita, attraverso le sue faraoniche imprese urbanistiche, ha stabilito ponti con la nostra civiltà e la nostra mentalità, arrivando in molti casi all’eliminazione del velo e delle discriminazioni.

Roberto Sacchetti