EDITORIALE

NÉ PAURA NÉ PRESUNZIONE, MA FIDUCIA OBBEDIENTE

Sarà perché la cronaca ci riempie di dolorosi sguardi sulla Palestina, terra di san Giuseppe, che sento particolarmente presente questa figura spirituale nel periodo natalizio, culmine di un Avvento che chiede speranza, di cui Giuseppe è icona luminosissima.

Giuseppe è capace di superare entrambe le insidie che violano la speranza: la paura e la presunzione. Quella paura che aveva preso Saul e tutto il suo popolo, davanti alle parole arroganti di Golia (cfr 1 Sam 17,11), succube di una paura che blocca la speranza. E non è nemmeno la presunzione di Pietro, quando davanti alla passione di Gesù osa dire: “anche se tutti ti rinnegheranno, io non ti rinnegherò mai!” (Mt 26,32). Entrambe producono frutti amari: la paura genera scoraggiamento; la presunzione fallimento, nelle lacrime amare di Pietro (“E uscito fuori, pianse amaramente!: Luca 22,62).Giuseppe, invece, coltiva nel cuore una fiducia obbediente, che lo rende capace di compimento pieno e sereno della volontà di Dio, con cinque gesti che plasmano questo Avvento. Eccoli, uno ad uno, riflesso delle nostre stesse sfide quotidiane.

Davanti all’inattesa ed inspiegabile maternità di Maria, lui subito è portato a lasciare la sua sposa. Ma poi, nel dialogo con lei, in un clima di grande fede e preghiera, Giuseppe comprende, si fida e si affida, passando dalla fase del sospetto alla fase del rispetto: “non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei è opera dello Spirito santo…!” (Mt 1,20). Ci dice che anche noi, spesso, dobbiamo cambiare idea su tanti nodi della vita, attorno a problemi inattesi, sapendo passare dal sospetto al rispetto delle persone che ci sono state affidate…! Cacciare le prevenzioni è indispensabile, per creare autentiche relazioni fraterne.

Si trova poi ad affrontare la polizia di Erode, che cerca Gesù. L’angelo lo sveglia e lo invita a fuggire. E lo fa di notte, con tutti i rischi di una fuga improvvisa e al tempo stesso liberante. Non rimanda, non aspetta il mattino con una “commissione di studio sul problema”, come faremmo noi. Ma affronta subito l’emergenza. Alza lo sguardo al cielo e provvede alla sua famiglia! Diventa, sì, un profugo, uno che cerca patria e lavoro, simile a tanti emigrati, costretti a lasciare casa, per motivi politiciclimatici, spesso non capiti da questa nostra società, che tende a confinarli più lontano possibile.

Giuseppe già si era sistemato in Egitto, con un lavoro degno, come racconta una tradizione popolare. Ma è subito pronto a rientrare in patria, una volta che l’angelo lo richiama (Mt 2,21), per poi stabilirsi a Nazaret, con una scelta singolare. Non sceglie una città grande o famosa. Ma abiterà in un piccolo paesino, poco noto, disprezzato, come tanti nostri piccoli borghi del Molise, che si stanno spopolando con amara tristezza sociale e politica. Eppure, quel luogo, Nazaret, (cfr Mt 2,22-23) caratterizzerà il Messia, Gesù, con una appartenenza che gli infonde dignità tenace, perché Giuseppe gli ha insegato ad amare luoghi e persone umili, preferendo così le periferie al centro.

Un grande educatore è Giuseppe, per comprendere bene le scelte da fare oggi, in ogni ambito. è la sua grande arte, quella di custodire, cioè ascoltare, pensare, raccontare, emancipare, generare….aprendo così una strada che condurrà alla sapienza benedettina e ascetica, che nel cuore ritrova spazi nuovi, come ci ha indicato la nuovissima Enciclica Dilexit nos!

Concludo con una osservazione acutissima di papa Francesco, che nella bella esortazione “Patris corde” così scrive su san Giuseppe: “La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma nel dono di sé. Non si percepisce mai in questo uomo frustrazione, ma solo fiducia. Il suo persistente silenzio non contempla lamentele ma sempre gesti concreti di fiducia.

Com’è pericolosa, infatti, la frustrazione! Specie nelle relazioni.

Quando ci si lagna di tutto, quando si critica tutto, piuttosto che benedire e ringraziare!

E il Papa conclude: «Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto; rifiuta coloro che confondono autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione».

Ogni vera vocazione nasce dal dono di sé, che è la maturazione del semplice sacrificio. Anche nel sacerdozio, e nella vita consacrata viene chiesto questo tipo di maturità. Lì dove una vocazione (matrimoniale, celibataria o verginale) non giunge alla maturazione del dono di sé, fermandosi solo alla logica del sacrificio, allora invece di farsi segno della bellezza e della gioia dell’amore rischia di esprimere infelicità, tristezza e frustrazione! (n. 7).

Ecco perché san Giuseppe ci parla con franchezza e coraggio, in questo Avvento, come porta del Natale, poiché Lui ha saputo vivere la speranza, chiave del Giubileo, superando l’insidia duplice della paura che porta allo scoraggiamento e della presunzione che genera fallimento, costruendo invece una fiducia obbediente e generativa. Quella che divenne abbraccio e protezione per Maria e il piccolo Gesù. Ed è nel nome di Gesù, l’Amore Incarnato, che facciamo gli AUGURI NATALIZI più affettuosi e amabili al nostro Vescovo Biagio, ai sacerdoti, alle consacrate, ai diaconi, ai nostri fedeli ed acuti lettori di INTRAVEDERE. Su tutti ci sia la pace!

 

+ padre GianCarlo Bregantini, Vescovo emerito