Mons. Bruno Forte ha presieduto la celebrazione dei secondi vespri nella Basilica di Assisi nel giorno della festa del Patrono d’Italia.
Il testo dell’omelia:
«Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo. Difatti io porto le stimmate di Gesù nel mio corpo» (Gal 6,14.17). Queste parole dell’Apostolo Paolo, incastonate nella celebrazione dei secondi vespri della solennità di San Francesco, ci aiutano a riflettere sul rapporto del Poverello di Assisi con Gesù, il Signore Crocefisso. Per farlo mi sembra illuminante partire dall’episodio della chiamata del giovane Francesco, così com’è narrato dalla Vita Seconda di Tommaso da Celano: «Un giorno, passando davanti alla chiesa di San Damiano, condotto dallo Spirito, Francesco entra a pregare, si prostra supplice e devoto davanti al Crocefisso e, toccato in modo straordinario dalla grazia divina, si ritrova totalmente cambiato. Mentre egli è profondamente commosso, all’improvviso l’immagine di Cristo Crocefisso gli parla movendo le labbra: “Francesco va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina”» (Cap. VII: FF 593). In un primo momento, il giovane interpreta alla lettera le parole del Signore e pensa di dover riparare la chiesa di San Damiano e altre cappelle diroccate nelle vicinanze, ma gli eventi successivi gli mostreranno come Gesù si riferisse alla Chiesa in quanto popolo di Dio, che attraversava un periodo drammatico, appesantito da ricchezze, mondanità e sfarzi, e aveva profondamente bisogno di essere rinnovata secondo la volontà del Dio crocefisso per amore nostro.
Al di là della consapevolezza che lo stesso Francesco ne ha, la missione assegnatagli dal Cristo è quella di riportare la Chiesa al Vangelo, liberandola dalla seduzione delle ricchezze e riavvicinandola ai poveri. E come l’opera del Redentore si è compiuta attraverso il sacrificio della Croce, così Francesco comprenderà sempre di più che il suo destino non potrà non essere segnato dalle sofferenze che l’unione al Signore comporta. Occorre, tuttavia, precisare subito che la croce è per Francesco inseparabile dalla gioia, ne è anzi la fonte, perché è solo per amore che il Figlio l’ha scelta per sé e la propone ai suoi, e parimenti è solo per amore Suo e del prossimo che noi possiamo portarla con Lui: «Sopra tutte le grazie e i doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, c’è di vincere sé medesimo, e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie ed obbrobri e disagi… In tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, perché non sono nostri, ma di Dio; onde dice l’Apostolo: “Che hai tu, che tu non abbia da Dio? e se tu l’hai avuto da lui, perché te ne glorii come se tu l’avessi da te?” Ma nella croce della tribolazione e della afflizione ci possiamo gloriare, perché questo è nostro; e perciò dice l’Apostolo: “Io non mi voglio gloriare, se non nella croce di nostro Signore Gesù Cristo”» (Fioretti, cap. VIII: FF 1836).
Dall’incontro con Gesù Crocefisso comincia per Francesco la sua nuova vita e la ricerca delle forme secondo cui il Signore gli chiederà di condurla. Narra la Vita Prima di Tommaso da Celano: «Come vero amante dell’umiltà perfetta, il Santo si reca tra i lebbrosi e vive con essi per servirli in ogni necessità per amor di Dio. Lava i loro corpi in decomposizione e ne cura le piaghe virulente, come egli stesso dice nel suo testamento: “Quando ero ancora nei peccati, mi pareva troppo amaro vedere i lebbrosi, e il Signore mi condusse tra loro e con essi usai misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo” (2 Testamento 1-4: FF 110). La vista dei lebbrosi gli era prima così insopportabile, che non appena li scorgeva in lontananza, si turava il naso con le mani. Ma ecco quanto avvenne: nel tempo in cui aveva già cominciato, per grazia e virtù dell’Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre viveva ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso e fece violenza a sé stesso, gli si avvicinò e lo baciò» (FF 348).
È questo il punto di svolta del cammino di conversione di Francesco, sviluppatosi nel corso di quattro anni, fra i 23 e i 27 della sua vita (1204-1208): ha incontrato Gesù e ha imparato ad amarlo teneramente nella sua condizione di Crocefisso, a riconoscerlo e a volerlo servire nei crocefissi della vita e della storia. L’amore manifestato a questi ultimi scaturisce dall’amore al Figlio di Dio abbandonato sulla Croce. Da qui, tutto cambia nella vita di Francesco, perché tutto diventa espressione dell’unico, intensissimo amore, che da Cristo Crocefisso s’irradia nel suo cuore e lo spinge ad amare Gesù in chi più è abbandonato. Senza questo amore al Figlio di Dio incarnato, crocefisso e risorto per noi, nulla si comprenderebbe di Francesco e della sua opera! Voce di quest’amore appassionato è la Preghiera al Crocefisso di San Damiano, in cui l’adorazione del Signore abbandonato sulle braccia della Croce si fa invocazione e testimonianza della volontà ferma di vivere nella sequela di Lui: «O alto e glorioso Dio, illumina el core mio. Dame fede diricta, speranza certa, carità perfecta, humiltà profonda, senno e cognoscemento che io servi li toi comandamenti» (FF 276).
Il porsi senza condizioni a servizio del Dio Crocefisso trasfigura l’essere e il modo di vivere di Francesco e si irradia nei rapporti con gli altri, ispirati a una regola esigente, appresa in adorazione ai piedi della Croce meditando sul perdono offerto da Gesù ai suoi crocifissori: «Chi non ama un solo uomo sulla terra al punto da perdonargli tutto, non ama Dio». Proprio così lo stile di vita del Poverello turba la logica mondana e suscita insieme ad ammirazione e imitazione, inquietudini e resistenze. Francesco, però, non si lascia turbare da niente e da nessuno, e tira dritto sulla via indicatagli dal Crocefisso. Proprio così interpella ciascuno di noi sull’opzione fondamentale per il Signore che è alla base della nostra vita di discepoli e sulla reale volontà di seguire Gesù Cristo crocifisso per amore nostro. Ce lo chiede lo stesso Francesco in una delle Lettere: «Voglio conoscere se tu ami il Signore e ami me suo servo e tuo, se ti diporterai in questa maniera, e cioè: che non alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto è possibile peccare, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia…» (FF 235).
Quest’amore misericordioso, che ci unisce a Cristo e ci aiuta ad essere fedeli a Lui, può esserci dato solo da Dio. Chiediamolo allora all’Altissimo con le parole con cui lo chiede lo stesso Francesco nella preghiera chiamata “Absorbeat”: «Rapisca, ti prego, o Signore, l’ardente e dolce forza del Tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell’amor tuo, come tu ti sei degnato morire per amore dell’amor mio» (FF 277). E con Francesco affidiamoci all’intercessione di Maria, Madre di Gesù e nostra, in cui si trova ogni pienezza di grazia e ogni bene: «Ti saluto, Signora santa, regina santissima, Madre di Dio, Maria, che sempre sei Vergine, eletta dal santissimo Padre celeste e da Lui, col santissimo Figlio diletto e con lo Spirito Santo Paraclito, consacrata. Tu in cui fu ed è ogni pienezza di grazia e ogni bene. Ti saluto, suo palazzo! Ti saluto, sua tenda! Ti saluto, sua casa! Ti saluto, suo vestimento! Ti saluto, sua ancella! Ti saluto, sua Madre. E saluto voi tutte, sante virtù, che per grazia e lume dello Spirito Santo siete infuse nei cuori dei fedeli, affinché li rendiate da infedeli fedeli a Dio» (FF 259-260). Amen!
+ Bruno Forte
Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto




