LINGUAGGIO E VITA ECCLESIALE IN TRASFORMAZIONE

LA CHIESA “IN USCITA” E L’URGENZA DI SUPERARE LE POLARIZZAZIONI

Tra parole che cambiano e sfide attuali, le comunità cristiane sono chiamate a farsi prossime, a dialogare e a costruire ponti nel mondo di oggi

IN USCITA…

Le parole cambiano. Le parole ci cambiano. Le parole sono segni di cambiamento. È quanto avviene nella dinamica delle cose ma soprattutto nella dinamica del linguaggio. Il linguaggio parlato e vissuto è una realtà in continua evoluzione e rapida crescita: non è altro che lo specchio dei mutamenti e delle trasformazioni che viviamo.

Questo vale anche nel linguaggio della Chiesa e della fede, sia a livello ufficiale sia a livello di base, quello della vita delle nostre comunità.

Se prima esisteva e si parlava l’“ecclesialese”, il linguaggio tipico del mondo ecclesiale, comprensibile solo ai pochi addetti ai lavori e caratterizzato da termini oscuri e di difficile comprensione, oggi si è arrivati a esprimere e usare “categorie” ed “espressioni” alla portata di tutti.

Una di queste è “in uscita”, termine che accompagna e qualifica il sostantivo Chiesa. Siamo una “Chiesa in uscita”, o meglio siamo chiamati ad essere una Chiesa in uscita. Ad essa ci ha portato e ci ha abituati papa Francesco: «La Chiesa in uscita è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. “Primerear” – a prendere l’iniziativa» (EG n. 24).

Una bella provocazione la Sua per dire e per dirci che cosa? Per sottolineare la “missione”, il compito e ancor prima la natura – oggi diremmo l’identità – missionaria, di impegno della Chiesa. E cioè?

Per non rimanere bloccati e avviluppati nel loop delle parole, si vuole sottolineare e rimarcare come la Chiesa, uguale a “le nostre comunità cristiane”, non deve e non devono rimanere chiuse in se stesse, ma deve e devono andare incontro al mondo e ai vari contesti di vita, specialmente alle “periferie” esistenziali, per annunciare il Vangelo e farsi vicine ai bisognosi.

Come credenti siamo chiamati ad uscire dalle nostre zone di comfort per attivare e mettere in cantiere iniziative che ci consentano di immergerci sempre più nelle realtà di vita delle persone, per offrire gesti di speranza e soprattutto creare una cultura dell’incontro.

Gli “addetti ai lavori” di cui sopra parlerebbero e parlano in modo ermetico di “missionarietà intrinseca” e “missionarietà estrinseca”, di “missione ab intra” e “missione ad extra”: bei concetti che lasciano tutti noi, comuni mortali e credenti, tali e quali come prima.

Certamente tutto questo implica e imprime un dinamismo e una disponibilità al cambiamento nel tessuto e nel vissuto del “vivere cristiano” che si dovrebbe tradurre e concretizzare in apertura alla novità, creatività pastorale e reale conversione missionaria.

E – anche qui – in soldoni? Vuol dire che le nostre realtà ecclesiali dovrebbero saper vivere e manifestare “sinodalità”, intesa come comunione e fraternità: essere davvero un’unica realtà che cammina in modo sinfonico su un’unica strada.

Essere “presenze attive” e non solo “presenze simboliche”: impegnate in modo serio ed efficiente, deciso e decisivo, nell’intercettazione, nell’attivazione e nel servizio dei e ai bisogni più urgenti del nostro tempo e dei contesti in cui viviamo.

Essere inoltre “presenze comunicative”, capaci di comunicare in modo attraente e coinvolgente, anche grazie all’utilizzo dei nuovi strumenti digitali.

E non ultimo “presenze impegnate” su temi ormai di grande attualità, condivisi a differenti livelli nei nostri contesti sociali e culturali. Chi oggi non parla e non si sensibilizza attorno a temi quali ecologia, nuove povertà, problemi dei migranti e delle carceri, inclusione… e via dicendo?!

Insomma, uno stupendo orizzonte e un bel pacchetto (non di “office” ma di impegno attivo e fattivo) per tutti noi, credenti e comunità del nuovo millennio. Altrimenti questa nostra amata espressione – quella di “Chiesa in uscita” – rischia di rimanere “uno slogan”, una bella – o meglio – una brutta ed ennesima “lettera morta”, e il dinamismo di cui è portatrice rischia di essere risucchiato e neutralizzato nelle fauci del comodo “si è sempre fatto così”. Implosione e immobilismo (la “sindrome del monumento”, l’essere e rimanere “statue da museo”) sono assicurati.

… ANCHE DALLE POLARIZZAZIONI

Ebbene sì! C’è un altro “sostantivo” che sta prendendo piede e sta entrando sempre più “prepotentemente”, ma forse sarebbe più esatto dire “in modo significativo”, nel linguaggio e nella vita della Chiesa e delle nostre comunità credenti. Qual è? È polarizzazione o, ancor meglio, polarizzazioni! A tal punto che si parla di “uscire dalle polarizzazioni”.

Il merito, se così vogliamo esprimerci, è questa volta di Papa Leone XIV.

“Polarizzazione” è un vocabolo che appartiene alla fisica: con esso si descrive e si parla di quella “condizione” in cui si verifica la comparsa di una polarità in un corpo, ossia una concentrazione di effetti e di forze verso particolari punti (detti poli), per lo più di due nature contrapposte.

In senso figurato viene a designare “un orientarsi verso un centro esclusivo di interesse”.

Non entriamo qui nei meandri della sua semantica a livello psicosociale, cognitivo, ottico e fisico. Basti che ognuno di noi digiti le sue lettere sui vari motori di ricerca della rete.

Ecco, Papa Leone sta cercando di “traghettare” la Chiesa e il mondo attraverso e “lontano” dalle polarizzazioni a cui stiamo assistendo in questi frangenti e che sono presenti.

Per non essere evanescenti ed estetici, temi e realtà che stanno polarizzando e polarizzandoci sono: la terribile situazione e questione di Gaza con la dichiarazione o meno di genocidio; le questioni di macropolitica e geopolitica con i relativi nuovi scenari che potrebbero determinarsi;  la  leadership femminile; il mondo LGBTQ+;  la triste realtà degli abusi; la crisi finanziaria, le fake news e l’intelligenza artificiale… tanto per citarne alcuni.

Tutti temi e ambiti di urgente attualità, che sono stati oggetto di un’intervista che Robert Francis Prevost ha rilasciato proprio il 14 settembre u.s., giorno del suo compleanno, a Elise Ann Allen, giornalista di “Crux”.

Come li affronta e come sta cercando di portarci rispetto ad essi? Invitandoci a “costruire ponti” e a non alimentare ulteriormente polarizzazioni, divari, crisi e attriti, a motivo anche del forte “pressing” (mediatico e non solo) a cui siamo e sono sottoposti.

Spronandoci a superare una certa insensibilità che può prenderci quando si è bombardati oltre modo, continuamente e urgentemente su queste tematiche. Il rischio di sviluppare intolleranza e disinteresse (= effetto nausea) è proprio lì dietro l’angolo.

Ribadendo e ripartendo da una chiarezza di fondo (almeno per quanto riguarda l’insegnamento e le posizioni della Chiesa) ma favorendo una cultura del dialogo.

Non piangendoci addosso ma sforzandoci di elaborare piani concreti e risposte chiare di azione, nella linea della pace e del rispetto della dignità delle persone e dei popoli.

Continuando a “sperare”, incoraggiandoci vicendevolmente a “guardare ai valori più alti” e nel dire e dirci “facciamo in modo diverso”.

“Ricordandoci il potenziale che ha l’umanità di superare la violenza e l’odio che ci stanno dividendo sempre più.”

“Uscire” e “polarizzazioni”, termini e realtà che voglio sperare ci risultino più chiari a livello di comprensione ma soprattutto di consapevolezza. Anche e soprattutto nella realtà e nel vissuto delle nostre comunità ecclesiali.

Da non lasciare a livello teorico, ma da trasportare e traslocare a livello concreto.

Da non vivere in modo separato o «polarizzato»; piuttosto da unire attraverso la preposizione articolata “dalle”.

Uscire dalle polarizzazioni” diventi l’azione da coltivare, imprimere, incrementare nella vita di tutti i giorni, soprattutto quando siamo tentati e siamo alle prese come individui e comunità di “separare, contrapporre, strappare”.

Prendendo esempio e spunto dalla riflessione e dall’azione dei nostri “Ponte-fici” per essere anche noi significativi, dinamici e efficaci “costruttori-facitori di ponti”!

Padre Gianpaolo Boffelli