Le mani di San Giuseppe

Imparare la paternità dal padre di Gesù

A pensarci bene, c’è una sottile ironia dietro la data della festa del papà: il fatto che cada nel giorno in cui la Chiesa celebra San Giuseppe, padre putativo di Gesù, la farebbe risultare quasi paradossale. Infatti, come “testimonial” di tutti i padri, Giuseppe risulta essere un padre sui generis. Questo perché, prima di ogni altra cosa, non è il padre biologico di Gesù, dettaglio che segna una sostanziale differenza tra la sua esperienza di paternità e quella che tradizionalmente conosciamo. In seconda luogo, perché Giuseppe apparentemente si trova a subire la paternità. Nel nostro immaginario, inoltre, ad esser sinceri, Giuseppe è stato considerato un po’ come la pecora nera della Sacra Famiglia: il suo aspetto alquanto appassito, lo sguardo triste non proprio confacente a chi gli è appena nato un figlio, sempre un po’ in ombra, defilato. Forse anche questo è un riflesso, non l’unico, dell’eclissi della figura paterna nella nostra cultura. La figura di Giuseppe, tuttavia, ha ancora da dire e da insegnare alla nostra società che sembra aver smarrito, paradossalmente, il padre. Dico “sembra” perché dei segnali positivi ci sono e non vanno trascurati.

Papa Francesco, nella recente lettera apostolica Patris corde, ha ricordato tutte quelle persone comuni che durante questi mesi di pandemia hanno continuato a spendersi al servizio degli altri. Infermieri, operatori socio sanitari, autotrasportatori, personale dei supermercati, operai impiegati nella produzione di beni di prima necessità, forze dell’ordine, operatori ecologici, volontari, e molti altri. Ogni mattina queste persone hanno aperto gli occhi consapevoli del fatto che non potevano abdicare al loro compito nella società, consapevoli dei rischi che correvano. Alcuni, a volte, fino al dono della propria vita. Cosa c’entra però questo con Giuseppe e con l’essere padri? San Giuseppe, sposo di Maria, ci viene incontro nell’ora più cruciale della storia della salvezza: l’incarnazione del Figlio di Dio. Grazie all’ “eccomi” di Maria il Verbo si è fatto carne, tuttavia, perché questo fosse possibile, Dio ha desiderato avvalersi della collaborazione di un “uomo giusto”, che non oppose resistenza alla volontà di Dio, ma la compì con gioia.

San Giuseppe non ha solo un ruolo funzionale in questa storia, ma è portatore di una promessa di Dio. Egli conferisce a Gesù la discendenza di Davide, così che il Figlio di Dio può incarnarsi in una stirpe reale. Queste poche cose basterebbero a far uscire Giuseppe dall’ombra e a ridargli la sua centralità nel progetto di Dio, non come santo da innalzare alla gloria dei nostri altari, ma come modello di paternità in cui ricomprendere la nostra stessa idea di padre: Giuseppe ci dice, infatti, che siamo tutti padri adottivi. In Giuseppe c’è paternità vera senza proprietà biologica. Cosa che, invertendo i termini, sappiamo essere niente affatto scontata. L’esperienza ci ha insegnato che i veri padri sono quelli che scelgono i propri figli. Ciò che fonda la paternità come la maternità è un gesto di adozione (Mt 1,24-25): “Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù”. Non è il dovere che spinge a diventare padri, ma il desiderio. La paternità è una cosa del cuore: si diventa padri quando si sceglie di esserlo e Giuseppe l’ha voluto dal primo istante. Il padre di Gesù non dice una parola nel Vangelo. Il suo silenzio lascia parlare le sue mani: sollecito prima a salvare Maria e il Bambino dalle persecuzioni di Erode, successivamente a procurare una stabilità di vita nella città di Nazareth.

Le mani di Giuseppe sono l’espressione di una paternità che non si costruisce a parole, ma con la testimonianza. Mani per sostenere la vita nascente, mani per accarezzarla, mani che introducono il figlio all’esperienza della vita con fermezza e con dolcezza, mani che non possiedono il figlio, ma che lo rendono capace di partenze. Il cuore di padre ha le mani di San Giuseppe. In qualche modo “le donne e gli uomini giusti”, quelli in prima linea in questa pandemia, hanno agito un po’ come avrebbe fatto San Giuseppe, cioè da madri e padri adottivi di un’umanità impaurita e disorientata. Hanno compreso che il Signore li chiamava nel quotidiano ad essere protagonisti della storia della salvezza, perché “nessuno si salva da solo”.

 

Gregory Pavone

seminarista