Modifica del Codice di Diritto Canonico

Campobasso. La donna, altare della vita

In ascolto dell’iniziale barlume, l’accesso al ministero dell’Accolitato e del Lettorato voluto da Papa Francesco

Porte che lentamente si schiudono. Ho sognato che il cielo era pieno di sospiri e non più di stelle. Sospiri di tutte le donne non rispettate in terra come tali. Di un dolore inenarrabile, che ha fatto lacrimare persino il firmamento. Davanti al quale tutti gli ordinamenti del cosmo si ribellano e non trovano pace, perché vedono che una forza distruttiva ha preso dimora nel cuore dell’uomo, fino a renderlo nemico di quella metà di se stesso, che è la donna. E torna più forte e necessaria l’esegesi di quell’avvento salvifico che ancora si respinge, almeno nei confronti della donna. Che cosa decifrare allora nella scelta di Papa Francesco sulla modifica del can. 230 § 1 del Codice di Diritto Canonico, riguardante l’accesso delle donne al ministero istituito del Lettorato e dell’Accolitato? La Lettera Apostolica Spiritus Domini, in forma di Motu proprio, mira indubbiamente ad una declericalizzazione dell’Istituzione Chiesa, perché il Pontefice non fa che ricordare che tutti, uomini e donne, siamo destinatari degli stessi doni di Dio, chiamati, però, ad assumerli in modo diverso, ciascuno con la propria autenticità. Il dono dei ministeri istituiti da Dio nella Chiesa è l’impegno permanente a fecondare il mondo col Vangelo! E’ Dio che chiama e la Chiesa forma, incoraggia e invia in questa missione. Il sogno di una Chiesa amica del sentimento femminile. Lì dove gli uomini restano legati solo alla propria madre, o si legano ad una donna solo immaginata, o all’idealizzazione della stessa Vergine Maria o di qualche santa, lì gli uomini rischiano di restare involuti nel proprio essere, sottomessi dall’incrinatura del loro esistere. La presenza del femminile è indispensabile per la maturazione dell’essere maschile, e viceversa. L’assenza, invece, provoca dissociazione ontologica, asservimento all’odio, alla repressione, alla frustrazione, all’infelicità. Si resta estranei alla bellezza della propria creaturalità. Perché maschile e femminile sono la compiutezza, la perfezione, la condizione integrale e armoniosa che determina tutto l’umano. Dio ha creato questo reciproco completarsi e da esso procede il Suo unico progetto. La venuta di Cristo ha significato la riunificazione degli opposti vitali: donna e uomo, terra e cielo, uomini e Dio. In Cristo non c’è più chi è inferiore e chi superiore. Forse qualcuno ancora non ci fa caso, purtroppo! E’ stata compiuta una trasformazione profonda, perché Cristo non si è lasciato rinchiudere nel limite angusto del patriarcato rigido, nel fortilizio dell’androcentrismo antico. Gesù è stato liberatore della condizione femminile. Il modo narrato nei Vangeli di quando Gesù le incontra, le rialza, ridonando dignità e libertà, ci porta oltre, perché Lui se le porta con sé, in quella missione d’amore, di cui ha bisogno, anche oggi, il mondo. Il voler rendere vana, non indispensabile, la donna all’interno della società, per lunghi secoli ha portato a segregazione, a persecuzione, a follie atroci, a porre al centro l’uomo come un idolo, come una “legge assoluta”, per condannare la donna solo in quanto donna. E’ lo sfondo di un degrado umano, sociale, culturale e spirituale che, a tratti, con dolore, sì, ha travolto anche la Chiesa, indicendola a disprezzare la donna, a demonizzarla, a giudicarla una rovina, a sentirla come l’insidia, l’occasione di quel male oscuro, che Gesù aveva detto chiaramente che è dentro l’uomo e mai fuori (cfr Mc 7,14-23). Rileggiamo questo brano, perché solo la Parola può sanare queste piaghe aperte, specie se sono state provocate dai quattro nemici di Gesù: l’ipocrisia, il legalismo, il formalismo, la spietatezza. Plasmati dal principio come unico capolavoro. Il Creatore del cielo e della terra è lo stesso Creatore della donna. E’ bene ri-affermarlo, perché ancora oggi per qualcuno non è chiaro! Nella grammatica teologico-dommatica, così come nell’indagine storica e nella posizione tradizionale, la donna continua ad essere la vera “periferia” della Chiesa. Nel senso che si estromette proprio e sempre lei da un dono che viene da Dio e non certo dagli uomini. Sembra che la donna non sia ritenuta “degna” o in grado di rendere ministeriale il suo amore al Vangelo della Salvezza. E si giustifica l’incompatibilità tra donna e sacerdozio col dire che Gesù, il Maestro, ha scelto soli uomini come apostoli. Ma è davvero così? Non è la Risurrezione, il fondamento di tutta la fede in Cristo, della Sua venuta nel mondo? Non ha rivolto forse a Maria Maddalena la rivelazione della Sua Risurrezione? E sappiamo che è il privilegio più grande, più sommo! E cos’altro significa quell’inviarla ad annunciare la notizia agli apostoli, se no che lei è riconosciuta e unta proprio dal Risorto stesso come apostola? La risposta definitiva è nel significato etimologico del termine apostolo, che deriva dal verbo greco apostèllein e sta per inviato. L’apostolicità della Maddalena, quindi, è indubbia. Tuttavia, da quel momento fino ad oggi, tutto è cambiato. Si è come richiuso un pezzo di sepolcro, lasciando una parte di verità proprio là dentro. La missione di annunciare rende manifesto l’appartenere totalmente al Signore. Eppure, si persevera ad escludere più che ad includere, a considerare cioè la missione degli uomini di serie A e quella delle donne di serie B. Continuare ad asserire che donna e sacerdozio siano in antitesi, impossibili, è come negare quello che è avvento nella notte di Pasqua, quando Gesù appare prima che a ogni altro a Maria Maddalena. Ed è questo il solo dettaglio che può fare la differenza e capovolgere la storia. Ma lo si subordina inguaribilmente a ben altre questioni. Non tenendo conto che l’unica Legge è la Parola, il Vangelo, prima ancora del Diritto Canonico. La Chiesa è chiamata ad imitare Cristo, esiste solo per imitarlo e continuare la Sua opera d’amore. Mi chiedo solo perché non s’imita il Signore anche in questo, nel modo di come coinvolgeva le donne nella Sua missione, nel renderle partecipi con visione piena e non parziale né tantomeno funzionale. Nelle attuali e accese discussioni sul tema della donna nella Chiesa, a volte, emerge un sentimento ancora ostile, misogino, come se la donna fosse un’intrusa da collocare in qualche buco, in qualche angolo rimasto vuoto, nella miope logica del “se proprio tutto manca, allora…”. E accade questo, sì, perché s’ignora che la donna è parte della carne di Cristo. Non ha perciò bisogno di etichette, di titoli onorifici o di carrierismo nello spazio ecclesiale o di concessioni. La donna è icona vivente della fecondità di Dio. E di certo non va più trattata come la “colpevole odiata e sottomessa”, ora finalmente riabilitata all’altare. La donna non ha mai avuto colpa. E’ stata martirizzata per secoli e secoli, esposta a torture, giustiziata (come santa Giovanna d’Arco e tante altre), imputata come strega, sentita come il diavolo da quel misticismo violento, per il quale ancora non si chiede perdono! E poi ancora perseguitata come la responsabile dell’inganno del serpente, non capendo che l’Accusatore ha rubato all’uomo proprio l’aiuto degli aiuti, quello più sacro, plasmato con la sua stessa costola e che Dio stesso accompagnò da lui, gli donò per unirla a lui (cfr Gn 2-22). I l serpente ha fatto credere a tutti e da sempre che quel sacro dono uscito dalle mani di Dio non fosse tale! Chi ama veramente Dio, come fa a credere che da Lui possano mai nascere inganni! In questo consiste la colpa, il peccato originale del genere umano: credere a quello che il male vuol farci credere! Credere alle menzogne del serpente è tradire Dio. E’ entrare a far parte, non più della storia d’amore con Lui, ma di un inferno ornato di fandonie pericolose che puzzano di rogo. Non amare la donna è peccaminoso accecamento. E’ vivere senza mai trovare la sorgente. E’ camminare nel mistero senza mai abbracciarlo. Siamo certi allora che l’accanimento contro la donna non sia accanimento contro Dio? La Chiesa, poiché sa bene che la Madre del Figlio di Dio è una donna, Maria, dovrebbe riconoscere che in Lei c’è tutta la donna, ogni donna! E questo è chiaro nell’esclamazione della cugina Elisabetta: “benedetta tu, Maria, fra tutte le donne” (Lc 1, 42). In queste parole non c’è scritto: “Tu sei benedetta e le altre donne no”! Anzi! E’ tutto il contrario: “Tu, Maria, sei benedetta proprio perché fai parte di tutte noi donne, perché sei una di noi!”. Ecco, come Dio ha riscattato, in modo definitivo, la donna, tutte le donne, in una sola donna, Maria.

Yenia Fiorenza